Regia di Yvan Attal vedi scheda film
La mattina seguente una notte brava passata a bere, fumare spinelli, tirare cocaina e fare sesso in un ripostiglio, il ventiduenne Alexandre, figlio di un noto giornalista televisivo (Arditi) e di una saggista femminista (Gainsbourg), viene condotto in commissariato con l'accusa di stupro. A denunciarlo è stata Mila (Jouannet, strepitosa), figlia del nuovo compagno della madre (Kassovitz), conosciuta quella stessa notte. Si va a processo, ma la parola dell'una contro quella dell'altro non è di facile valutazione per la corte.
Le cose umane, a cui fa riferimento tanto il titolo originale quanto l'omonimo libro di Karine Tuil, sono quelle che ci vedono impegolati in situazioni che ci trascinano in un vortice che può diventare ingestibile anche se hai alle spalle una famiglia quattrinosa. Anche da semplice spettatore, diventa allora difficilissimo non tenere conto delle ragioni di ambo le parti, dettate da percezioni opposte. Con L'accusa Attal aggiunge qualcosa di significativo all'infuocato dibattito sul #metoo attraverso un dramma giudiziario che si sfila dal garantismo e offre una prospettiva che emerge a poco a poco dalle dichiarazioni delle due parti in causa: ciò che vediamo è "carico di cultura", riadattando la celebre affermazione del fisico Pierre Duhem. Ed è qui che sta la grandezza di un film che qualcuno, forse a torto, ha giudicato come cerchiobottista: un film tutt'altro che manicheo, nel quale il dramma etico dei due giovani protagonisti e delle loro famiglie viene filtrato attraverso il prisma delle differenze di classe (alto borghese quella di lui, decisamente più modesta quella di lei) e lo scontro ideologico.
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