Regia di Alexandre Aja vedi scheda film
Thriller/sci-fi, teso e coinvolgente, si perde un tantino nel finale. Molto buona la prova attoriale della protagonista
Una donna riprende bruscamente coscienza e si ritrova prigioniera in una capsula, col corpo avvolto in un bozzolo, collegata a degli elettrodi, con un tubo inserito nel suo braccio destro e cinghie di contenimento serrate sul petto, con aghi e sonde che la alimentano artificialmente, non ricorda nulla del suo passato, non sa niente di sé e come è arrivata lì e perché. Deduce che è rinchiusa all’interno di una camera criogenica ad alta tecnologia, unico compagno di viaggio M.I.L.O il computer di bordo, programmato per monitorarla, grazie alle sue informazioni, centellinate col misurino, scopre di chiamarsi Elizabeth Hansen e di essere una scienziata. Vorrebbe capire cosa sta succedendo, ma il danno subìto dalla camera, responsabile del suo risveglio, ha ridotto drasticamente le riserve di ossigeno. Elizabeth è così costretta a correre contro il tempo per non morire di asfissia. Affiorano a mano a mano dei ricordi, anche un uomo, forse il marito, ma poi le appaiono immagini di costui agonizzante o forse come dice M.I.L.O è un’allucinazione indotta dalla carenza di ossigeno, oppure c’è qualcos’altro, forse lei come altri, fa parte di un progetto ambiziosissimo e importante per l’umanità. Ambientato completamente, salvo qualche leggero flashback molto breve, all'interno della capsula, crea un forte senso di claustrofobia, la carenza di ossigeno, rivelata costantemente attraverso un inesorabile “countdown”, mette la protagonista e il pubblico in condizione ansiogena e di profondo senso di straniamento. Lo SCI-FI-thriller, ha tutte le carte in regola, per conquistare emotivamente il pubblico. Nonostante la presenza di qualche voce, Oxygene è un film con un'attrice sola, Melanie Laurent, molto brava nell’esprimere l’angoscia che a mano a mano, la pervade. Costretta a rimanere stesa sulla schiena, legata e chiusa in uno spazio ristretto, la sua Elizabeth coinvolge, alternando momenti di calma e razionalità a quelli più disperati e sconfortati, in un crescendo di tensione. Supportata egregiamente dalla regia di Aja, che fa di tutto per movimentare il racconto, lavorando di concerto con il direttore della fotografia Maxime Alexandre, nel riprendere l’angusta camera criogenica da angolazioni variegate, in modo che le inquadrature non risultino ripetitive, cambia continuamente punto di vista, perlustra in ogni angolo la camera criogenica, ruota la macchina da presa, spazia nell'uso dei colori, gioca con i display del computer di bordo, crea schermi interattivi, sdoppia e specchia il corpo, crea anche una spettacolare sequenza in CGI, giostrando con le soggettive, con i minimi movimenti delle parti del corpo. Tuttavia poco prima della fine quando il film dovrebbe definitivamente decollare, si assiste a una sterzata, una leggerezza di scrittura, una battuta, una rivelazione di troppo, che fa saltare il banco. È forse uno dei pochi difetti del film, ma quanto basta per rovinare il finale. Melanie Laurent esprime superbamente il senso di panico e i procedimenti mentali di qualcuno che si trova in trappola, ma che anche in condizioni estreme riesce comunque ad usare le proprie risorse mentali e caratteriali, l’attrice funziona e suscita empatia, senza scadere in teatralità melodrammatiche., mentre la sua Liz interroga metodicamente il riottoso M.I.L.O. per ottenere informazioni online o provare a chiamare qualcuno. E la prova vocale efficace e priva di emozioni, fornita da Mathieu Amalric nella parte di M.I.L.O. non fa che aumentare il senso di tensione e la paranoia, specialmente dopo che Liz inizia a sospettare che M.I.L.O. potrebbe non averle detto tutto quello che sa; il montaggio di Stephane Roche crea un ritmo abbastanza vivace così che il pubblico non sia mai troppo avanti rispetto a Liz in termini di comprensione di ciò che sta succedendo, gli spettatori sono praticamente invitati a indovinare quale sarà la “grande rivelazione” ci sarebbero tantissime possibili soluzioni, per il bizzarro dilemma della protagonista, quella scelta, quando la sceneggiatura scopre definitivamente le sue carte, reca un’inevitabile delusione.
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