Regia di Luca Manfredi vedi scheda film
La televisione, il doppiaggio, una valanga di film da interprete tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta, il Rugantino teatrale, tre film da regista, la pubblicità della Lavazza, il Pinocchio televisivo: sono gli addendi di una carriera sublime, quella di Nino Manfredi (Saturnino all'anagrafe) uno dei colonnelli della commedia all'italiana. Una carriera passata per capolavori come Pane e cioccolata, C'eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, Il giocattolo o Cafè Express. Prova a raccontarcela, con frequenti incursioni nella vita privata dell'attore ciociaro, suo figlio Luca, che al padre aveva dedicato una fiction televisiva quattro anni prima, con l'interpretazione di Elio Germano. Un documentario certamente convenzionale, ma al tempo stesso un prezioso bigino, raccontato con tanto affetto dai familiari e dai tanti che hanno condiviso il set con Manfredi (Massimo Ghini, Edoardo Leo, Massimo Wertmüller, per citarne alcuni), dal quale emerge la figura di un uomo convintamente ateo, capace di arrabbiarsi moltissimo ma anche di essere un padre affettuoso e un merito premuroso, un attore dallo stile interpretativo inconfondibile, con quei tic che ne definiranno i personaggi come un marchio di fabbrica: "sospeso con il gesto a mezz'aria; tornare su sé stesso e ripensarci; girare la testa prima di dare la battuta; aprire le braccia e chinare il capo come in un leggero inchino da Arlecchino goldoniano" (Morreale). Un gigante.
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