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E noi come stronzi rimanemmo a guardare

Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su E noi come stronzi rimanemmo a guardare

di Souther78
10 stelle

Film politico, che non ha paura di schierarsi. A volte in modo satirico, altre volte schietto e diretto, PIF denuncia e porta allo scoperto il dramma che si sta consumando con la complicità delle vittime. Da vedere, imparare e mettere in pratica, prima che (e ammesso che non sia già) troppo tardi.

La prima dose di droga è gratis. Proprio come l'amico Fuuber. Proprio come Android. Google. Youtube. Facebook. Gmail. Whatsapp.

 

Poi, però, arriverà un conto da pagare. E se crediamo che basti non fare l'abbonamento, per aggirare il problema, è la conferma che le scuole di marketing hanno sfornato abili campioni del raggiro. Se possiedi le informazioni, hai tutto quello che ti occorre. Ed è per questo che non serve farsi pagare dall'utente, per fornirgli un servizio: il servizio è soltanto l'esca. Una volta che abbocchi, puoi dimenarti finchè vuoi, ma sei già stato preso all'amo. In fondo non occorre mica poi tanta fantasia, per pensare a Microsoft o a Facebook come a esche, considerato che i loro capi sarebbero dei vermi perfetti, avendone tutte le fattezze interiori ed esteriori.

 

La guerra, oggi, si combatte nella e mediante la informazione: chi la controlla, controlla le masse. Così è facile spostare i beoti dal consumismo più becero all'austerity pseudo finto-ambientalista (che poi è solo consumismo più concentrato, meno diffuso e meno a buon mercato). O dal mantra del lavoro al mantra del non lavorare pur di scampare all'influenza covidiota.

 

La guerra dell'informazione si combatte anche al cinema, e lo sanno bene i colossi Blackrock e Vanguard, che hanno allungato le loro arcontiche mani fin lì, sfornando opere di indottrinamento che nemmeno Goebbels avrebbe osato ipotizzare. E' una gioia per gli occhi e per il cuore, questo film nostrano, che, senza remore nè peli sulla lingua, ha il coraggio di sbattere in faccia la verità: "Se siamo arrivati fin qui, pensate che ci fermeremo adesso?".

 

Pif prende lo spettatore, lo guarda negli occhi, e gli spiattella in faccia l'atroce verità: la colpa di un mondo asettico, impersonale, spersonalizzante, alienato e alienante, schizofrenico e delirante, è nostra. Siamo noi, ad aver elevato a divinità le esche, tanto da rendercene schiavi. Come si esce da Facebook, dopo esserci entrati? Come si sopravvive alla sua messa al bando, per aver osato dire quello che lo stesso Zuckerberg diceva ai suoi collaboratori in un video trapelato (cioè che il "vaccino" coviddì fa male)? Come scollarsi di dosso un credit score negativo alla cinese? Avete provato a cancellare il vostro account Amazon? Provateci! Scoprirete che... non è una funzione prevista: è assente. Provate a scrivere al servizio clienti: vi chiederanno che senso abbia... in fondo basta non usarlo, se non volete.

 

L'algoritmo, come nelle migliori intenzioni del WEF, sta sostituendo l'umanità. Se l'algoritmo ti dice che sei omosessuale, devi esserlo. Se la tua età non è contemplata nel menu a tendina, sei fuori. A prescindere. 20 anni di esperienza, però, conteranno, no? Non se non lo dice l'algoritmo!

 

Dal punto di vista squisitamente tecnico, il film presenta una trama curata, con diversi colpi di scena, denotando fantasia e originalità, e offrendo anche una buona dose di intrattenimento e spensieratezza, nonostante l'ombra sinistra del futuro-presente incomba su tutto quanto. Fabio de Luigi non delude le aspettative, ed è perfettamente nella parte. Il cameo di Nichetti è una piccola chicca (anche se i più giovani non lo riconosceranno neppure, ahimè). PIF come attore non è il massimo, ma si difende, ritagliandosi comunque un ruolo poco meno che marginale, e ricco di ironia. La protagonista femminile interpreta bene la parte, anche se inizialmente la sua veracità sembra stridere non poco con il soggetto olografico.

Buona la fotografia, con ottimi scorci, che tra l'altro partecipano alla narrazione rappresentando visivamente lo squilibrio dettato dal cosiddetto neoliberismo, che vuole ricchi sempre più ricchi, "asserragliati" nel centro di città illusoriamente green, mentre nelle periferie i poveri non hanno nemmeno più case povere, ma abitano direttamente per la strada. Come altri prima di lui, PIF sceglie di mischiare il girato di diverse città, come se fosse una sola (in questo caso, Roma). Scelta sicuramente più impegnativa a livello di produzione, ma che consente maggiore sfoggio di creatività nelle ambientazioni.

Soprattutto da un certo punto in poi, l'opera sposa apertamente (e dichiaratamente) l'impegno politico e ideologico, scontrandosi però in modo più manifesto con la verosimiglianza: sarebbe stato possibile amalgamare meglio questi due elementi? Probabilmente uno sforzo in più, nella sceneggiatura, non avrebbe guastato, più che altro per non sollevare con prepotenza lo spettatore dalla immedesimazione nella storia. 

 

La verità è che l'impegno politico e la narrativa non sempre vanno a braccetto, e portare avanti una causa rende facilmente inclini a far passare in secondo piano tutto il resto. D'altronde, non ho problemi ad ammettere che condivido appieno la denuncia di PIF, e, quindi, considero questo come uno dei migliori film degli ultimi anni. Anche, e soprattutto, in quanto uno dei più onesti intellettualmente, per nulla compiacente nei confronti dei "potenti", nè dei luoghi comuni. L'amara verità è che siamo in guerra. Questa, però, è una guerra verticale, cioè combattuta da quelli che stanno in alto contro quelli che stanno in basso. Poichè, per sfortuna dei primi, il numero dei secondi è prepotentemente impari, l'unico modo per combatterla è... lasciare che a scendere in campo siano soltanto i secondi: gli uni contro gli altri. Quest'opera ci scuote, e ci rammenta che il coltello dalla parte del manico ce l'abbiamo (avevamo?) noi, salvo che decidiamo (abbiamo deciso?) di porgerlo ai nostri carnefici.

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