Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
Il settimo comandamento - Non rubare - si apre con la solita ripresa sul condominio del decalogo, questa volta con un carrello che cerca angolazioni nuove, dal basso verso l'alto, con in sottofondo urla agghiaccianti.
Il film è la prima pellicola, andando in ordine nel decalogo, dove non ci sono solo due personaggi principali approfonditi con altre comparse a corredo, ma ci sono cinque protagonisti tratteggiati e approfonditi con la stessa intensità. Da questo punto di vista è indubbio che il settimo episodio risulta essere quello che gode della costruzione più abile e complessa dal punto di vista della sceneggiatura.
Nel primo episodio di Decalogo Kieslowski ci presenta un legame affettivo assoluto tra un padre e un figlio; nel terzo analizza e rappresenta l'attrazione edipica tra padre e figlia; in questo settimo episodio il regista torna a interrogarsi sui rapporti familiari, questa volta concentrandosi su un altro rapporto conflittuale e irrisolto, quello tra madre e figlia. L'intreccio è molto complesso perché ricco di inganni e false verità. Il risultato di queste ambiguità si rivela distruttivo per tutti i personaggi e non c'è una vera morale non solo perché l'autore non la voglia sottolineare, ma perché le riflessioni che riesce a suscitare in soli 60 minuti questa pellicola non portano a una risposta più valida di altre.
Il primo personaggio che incontriamo è la piccola Ania, la quale urla ogni notte, quasi a rimarcare l'atrocità di quell'inganno di cui è stata oggetto, ma non viene in realtà mai svelata la ragione per cui la piccola urla nel sonno. Sarebbe stato troppo facile (e sbagliato) svelare metaforicamente il dramma di una bambina così piccola. Le sue urla sono funzionali alla distruzione dei rapporti familiari che introducono. Ania del resto non sospetta minimamente che quella che per lei è sua madre, Ewa, è in realtà sua nonna. Quello che però Ania ha respirato, questo è reso evidente, è che Majka, quella che in realtà è sua madre, ma che lei riterrà sua sorella, è spesso assente e vive gravi conflitti con Ewa. Non mancano nella parte iniziale scene esplicative che mostrano la tensione che si respira in famiglia che andrà poi esasperandosi lungo il dipanarsi della storia.
Ci sono due padri in questo film, entrambi assenti e inesistenti. Il padre di Majka non conta niente a detta di Ewa, il padre di Ania non è mai esistito per lei prima del loro incontro voluto da Majka quando la bimba ha ormai 6 anni compiuti.
Le due madri sono invece tratteggiate in tutta l'atrocità di un rapporto usurato e irrecuperabile, fatto di frustrazioni e sottrazioni che le due donne scaricano sul più debole.
Majka vorrebbe drammaticamente imporre ad Ania di chiamarla madre perché è quello che lei è, ma Ania continua spaesata a chiamarla Majka, quasi a voler sottolineare quella distanza fisica, ma anche psicologica, che le separa.
Ewa è disposta a tutto per impedire a Majka di portarle via Ania e questo attaccamento morboso viene spiegato attraverso un aneddoto secondo cui Ewa non ha più potuto avere figli dopo avere avuto Majka a causa di quel parto. Majka sembra essere il suo capro espiatorio, il rimprovero di una mutilazione, la bambina per cui tutte le aspettative sono state disattese e una stupida figlia adolescente che è rimasta incinta a soli 16 anni e che può essere facilmente comprata con una frase agghiacciante ("tuo padre venderà la macchina e gli organi e ti compreremo una casa, vivrai via da qui e potrai vedere Ania tutte le volte che vorrai").
In questo orrore relazionale, il finale fa scegliere la bambina, la quale coinvolta in problemi che non può capire cerca la propria normalità o forse, più semplicemente, l'immobilità.
E qui viene il punto: la domanda di Kieslowski è geniale perché contraddittoria. Si può rubare ciò che è tuo? Ma la domanda da contrapporre a Majka è: si può definire proprio qualcosa che si è creato, ma non coltivato nè cresciuto? Chi è il vero genitore: quello naturale o quello adottivo, colui che ti ha allevato da embrione o colui che ti ha dato un esempio da seguire e ti ha cresciuto tra mille sacrifici?
L'attaccamento biologico è una morbosità tutta umana. Gli animali non si pongono normalmente questi problemi, spesso nutrono anche figli di altri animali, lottano per la vita oltre che per la salvezza della specie (emblematico Il ragazzo selvaggio di Truffaut). Ci sono comunità in cui i figli vengono cresciuti dalla comunità e i genitori biologici non sono diversi da tutti gli altri membri della comunità.
Allora viene da pensare che è proprio la nostra società, per come si è strutturata, che scarica le proprie frustrazioni e inadeguatezze sui più deboli, come in questo caso sui figli.
E' evidente che il film non può dare una risposta perché, come dicevo in origine, una risposta più valida di un'altra non c'è. Ci potrebbe essere solo la collaborazione (che probabilmente si aspetta Ania), nel film invece si sceglie per la divisione individualistica e drammatica, a discapito dell'amore.
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