Regia di Rupert Wainwright vedi scheda film
Poteva essere una sorta di Esorcista 2.0, ma i suoi presupposti sono troppo fragili per eventualmente sostenere simili ambizioni, poiché il cosiddetto Vangelo di Tommaso, benché non riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, è disponibile da decenni in qualsiasi raccolta di vangeli gnostici. Si può indubbiamente riconoscere che uno dei punti di partenza di Stigmate - l'allontanamento della Chiesa dal cristianesimo delle origini e dal suo messaggio - sia un dato assodato. L'elemento ipotetico è invece costituito dal fatto che questo vangelo, scritto in aramaico e quindi più vicino di tutti gli altri alla originaria predicazione del Cristo, sosteneva che la vera chiesa è dentro ciascun individuo e quindi il rapporto tra uomo e Dio prescinde da un'istituzione organizzata come la chiesa wojtyliana di fine secondo millennio, questa davvero 2.0. Peccato che poi si vada a parare nelle solite scenografie di sempre, con l'iconografia cattolica fatta di croci, chiodi, spine e tanto sangue, con riferimenti alla passione di Gesù, alle sofferenze di San Francesco d'Assisi e di Padre Pio, nonché al fenomeno, molto diffuso quindici - venti anni fa (ed oggi chissà perché un po' desueto), delle madonnine di gesso che piangevano lacrime di sangue.
L'operazione di Stigmate è indubbiamente professionale - del resto anche i protagonisti Patricia Arquette e Gabriel Byrne sono attori seri e dignitosi - ma somiglia più ad un'accozzaglia di videoclip (d'origine musicale) e di spot pubblicitari che ad un film organico d'argomento religioso. E questo anche se, volutamente o meno, azzecca diversi elementi che identificano le dinamiche interne alla Chiesa cattolica, meglio de Il codice Da Vinci.
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