Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film
Di tutte le versioni shakespeariane di Branagh era quella che a priori mi lasciava più perplesso: un musical classico, ambientato negli anni ’30 in spregio alla realtà storica (la Francia è una monarchia, esiste un fantomatico regno di Navarra), con i cinegiornali che riferiscono i pettegolezzi di corte. In effetti il tip tap, Branagh e soci, è meglio che lo lascino fare a Fred Astaire; però il resto funziona benissimo, le prevedibili ma gradevoli vicende amorose filano lisce come l’olio grazie al solito cast assortito e affiatato. E alla fine arriva anzi il colpo di reni, una delle più geniali trovate di Branagh: dopo che le quattro coppie hanno deciso di non vedersi per un anno (un tempo “troppo lungo per una commedia”, si lamenta Berowne), dopo che l’aereo ha formato nel cielo la frase “you that way, we this way” ("voi di là, noi di qua": l’ultima battuta dell’originale, che forse era soltanto un’indicazione scenica riguardo all’uscita degli attori ma che inevitabilmente viene letta in riferimento alla separazione degli innamorati), ecco che arriva la guerra con i suoi orrori, che non dovrebbero trovare spazio in una commedia. Branagh, saggiamente, non osa mescolare le sue parole a quelle di Shakespeare, ma proprio allora l’ambientazione novecentesca si rivela funzionale: scorrono immagini mute in b/n, con commento musicale e con titoli di giornali; seguiamo le storie dei vari personaggi, chi prigioniero chi attivo nella resistenza; e alla fine gli abbracci che dovevano semplicemente segnare la lieta conclusione di un gioco di società suggellano invece l’agognata riconquista della persona amata, dopo un’attesa più lunga del previsto (e solo allora possiamo riascoltare Shakespeare: “dagli occhi delle donne io traggo questa dottrina...”).
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