Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
Una donna che ha il marito all’ospedale in fin di vita, si rivolge al primario, suo coinquilino, per sapere se il consorte si salverà. Dalla risposta dipende la sua decisione di abortire un bambino concepito con l’amante: se il marito vivrà, rinuncerà al bambino. Il medico, dopo ripetute insistenze della donna, le dice che il marito morirà, impedendo così l’aborto. Tuttavia l’uomo, contro ogni previsione, si ristabilisce.
Anche in questo secondo capitolo del Decalogo Kieslowski e lo sceneggiatore Piesiewicz fanno emergere la fallacia dei calcoli umani. La razionalità della protagonista prevede solo due alternative: la sopravvivenza del marito e dunque l’aborto, oppure la morte di lui e la nascita del bambino. Quando la decisione di abortire non può essere più rinviata, la protagonista cerca dal medico una risposta che questi non può darle. Il suo non è un dilemma morale, ma un arido calcolo. La ricerca di una certezza sulle sorti del coniuge è un disperato tentativo di controllare la realtà, determinata proprio dalla mancanza di valori che trascendano il contingente. Alla donna si contrappone il medico, che prima rifiuta di darle una risposta poi, per evitare l’aborto, si assume la responsabilità di dirle che il marito morirà. La sopravvivenza contro ogni previsione del morituro scompagina tutto, non solo perché la donna contro ogni suo sforzo dovrà affrontare una realtà che vede vivere coniuge e bambino per lei incompatibili, ma anche perché si scopre che l’uomo è a conoscenza della gravidanza della moglie, variabile di cui lei non era a conoscenza e che avrebbe reso un tragico errore l’aborto. Kieslowski e Piesiewicz qui sembrano prendersi beffa della protagonista, facendo emergere ancora una volta l’incapacità/impossibilità da parte dell’uomo di dominare una realtà plastica, inafferrabile, ma inseguita tanto più di fronte al vuoto morale.
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