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Il Divin Codino

Regia di Letizia Lamartire vedi scheda film

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La recensione su Il Divin Codino

di Spaggy
stelle

C’è un evento da cui occorre capire per capire le intenzioni di un progetto complicato come Il divin codino. Si tratta di una finale dei Mondiali di Calcio che vede affrontarsi le nazionali di Italia e Brasile. Ma non è quella del 1994, come tutti tendono a pensare. Si tratta invece dell’ultima partita del Campionato 1970 e la partita ha luogo a Città del Messico. L’Italia segna il suo unico goal al 37’ con Boninsegna mentre il Brasile dilaga con ben 4 tiri andati a segno, di cui il primo firmato da un mito assoluto: Pelé. All’epoca, Roberto Baggio ha poco più di tre anni ed è un bambino come tanti altri che, di fronte alla disperazione del padre, promette che da grande ci avrebbe pensato lui a battere il Brasile e vincere la Coppa del Mondo.

L’evento segna uno spartiacque nella vita di Baggio. Il padre Florindo, che ha lasciato il ciclismo per lavovare in vetreria e mandare avanti una famiglia numerosa, sfrutta l’aneddoto per regalare al suo ragazzo, dotato di uno straordinario talento per il pallone, un obiettivo da raggiungere. In un rapporto di continuo contrasto, padre e figlio non riescono mai a trovare un punto di incontro: rimangono ancorati su posizioni divergenti in cui, per pudore o per timore, nessuno dei due mette in piazza i propri sentimenti. La promessa è l’unica cosa che in apparenza li lega e li tiene uniti. In un mondo come quello di provincia in cui mostrare i propri sentimenti è debolezza, Baggio forma il suo carattere e comincia a tirare calci a una palla che a soli 18 anni lo trasforma nel giovane più pagato d’Italia. La sua carriera da calciatore professionista comincia tra le fila del Vicenza e, al primo contratto importante con la Fiorentina, non ottiene dal genitore nessun cenno di approvazione o sostegno.

Andrea Arcangeli

Il Divin Codino (2021): Andrea Arcangeli

 

La mancata complicità con il genitore agisce nel subconscio del giocatore, che non riesce quasi mai a legare con i vari allenatori con cui si è ritrovato a dover fare i conti. Basti vedere come arduo sia per il giocatore rapportarsi ad Arrigo Sacchi, l’allenatore pazzo che lo porta ai Mondiali del 1994 negli Stati Uniti e che, in maniera quasi suicida, ne ridimensiona il ruolo e il peso durante i primi incontri. Lo scontro tra i due è forte, soprattutto poco prima della famigerata finale del 1994, quella persa con il Brasile ai calci di rigore. In un allenatore, tu cerchi il padre, ha modo di dirgli Carletto Mazzone nel 2002 quando lo porta tra le fila del Brescia.

Florindo, si diceva prima, dona al figlio un obiettivo per cui andare avanti. Anche perché, a differenza sua che ha abbandonato il ciclismo a causa della propria mediocrità, Roberto è dotato di un talento innato che niente e nessuno può portargli via. Non riescono nemmeno i vari infortuni ad allontanarlo dal pallone. Il primo grave incidente sul campo lo colpisce il 5 giugno 1986, poco prima del suo passaggio dal Vicenza alla Fiorentina. Ben 220 punti di sutura segnano la sua gamba ma tutto ciò che Roberto vuole è ritornare in campo. Ammazzami se non riuscissi più a tornare a giocare, chiede con evidente disperazione alla madre. E non sta lontano dall’area di rigore nemmeno quando nel 2002 un infortunio durante una partita del Brescia contro il Parma lo costringe a un nuovo intervento: il suo talento deve avere la meglio, deve tornare in campo in tempo per i Mondiali in Corea e Giappone, quelli che sulla carta dovrebbero segnare il riscatto per quel rigore che ancora tormenta il suo sonno e la sua esistenza.

Oltre al talento, in Baggio non manca la fede. Incontra il buddismo quasi per caso, mentre è alla ricerca di un disco degli Eagles che non uscirà mai. E la religione interviene al pari di una fata a risollevare le sorti di alcuni momenti topici del suo cammino altrimenti fermo e fermato. Dove non arrivano le mie capacità, arriva la mia fede. Guarisce persino quasi miracolosamente ed è pronto a rimettersi in gioco se non fosse un allenatore ha tarpare il suo ultimo volo, quel Trapattoni che senza pensarci troppo non mantiene la parola data qualche mese prima e non lo convoca in nazionale negandogli di fatto quel riscatto che Roberto cerca(va) in campo.

Non si può negare poi il peso che un altro valore ha nella sua parabola: l’amore per Andreina, prima fidanzata e poi moglie costantemente al suo fianco. Tanto discreta quanto fondamentale, Andreina racchiude la forza di tutte quelle donne che, all’ombra di un marito forse ingombrante e impossibile da gestire,  dipinge inconsapevolmente una tela incantevole.

Andrea Arcangeli

Il Divin Codino (2021): Andrea Arcangeli

 

Il divin codino non è forse un biopic perfetto. Chi si aspetta un lungo elenco di momenti, gioie, premi e trionfi, rimarrà spiazzato dalla scelta di una sceneggiatura che procede per tappe fondamentali. Correndo il rischio di risultare ostico a chi non conosce i fatti o parte di essi, la sceneggiatura di Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo si concentra sui momenti che più di ogni altro hanno segnato il percorso di Baggio e lo hanno reso il giocatore italiano più amato di sempre. Ogni dettaglio contribuisce a far capire come il pubblico amasse Baggio non tanto per essere un campione ma quanto per essere un uomo che, seppur dotato di grande talento, conviveva con fragilità, emozioni e sentimenti. Fortunamente, si evita il rischio del santino, anche se la commozione per chi ha vivuto quei frangenti è sempre dietro l’angolo.

Malinconia e tenerezza ben si sposano grazie alla scelta di ricorrere a espedienti visivi che riportano a quegli anni e fanno rivivere la resilienza di quel periodo. In fondo, Baggio nel 1994 è stato il simbolo di un’Italia intera che sperava nella rinascita e in una nuova normalità. Lasciarsi alle spalle le stragi di mafia e lo scandalo di Mani Pulite era tutto ciò di cui ognuno di noi aveva bisogno. Roberto Baggio era tutto ciò di cui avevamo bisogno per ribaltare la nostra immagine agli occhi del mondo. Roberto Baggio era tutto ciò di cui necessitavamo per dimostrare che, seppur con le nostre debolezze, rimaniamo campioni nel cuore, gente che dopo ogni caduta è in grado di rialzarsi per mantenere fede a una promessa, per onorare se stessa e per sperare in un futuro nuovo. Anche solo per sentirsi dire “grazie” dai genitori, propri e non.

Nel guardare a Il divin codino come oggetto filmico non si può non sottolineare come dietro la macchina da presa vi sia una regista giovane e talentuosa a cui Netflix in collaborazione con Mediaset ha dato un’opportunità per dimostrare un talento sorprendente seppur acerbo. Donne e calcio non sono mai stati un binomio visto di buon occhio dal pubblico medio italiano: Letizia Lamartire riesce invece in un’impresa epica realizzano uno dei migliori film italiani dell’anno raccontando proprio di pallone. Ironico, forse, ma necessario, perché l’uguaglianza di genere passa anche da ciò: l’abbattimento dei luoghi comuni.

Andrea Arcangeli nei panni di Roberto Baggio è quel quid in più che rende indimenticabile il lungometraggio. Sofferente, vincente, demoralizzato, incazzato, riflessivo, metodico, resistente: ogni cambio di umore è credibile, ogni espressione è resa al meglio da un attore che nulla ha da invidiare ad altri nomi più blasonati. Sul suo lavoro poggia inevitabilmente l’intero film e lui non delude, regalandoci un Baggio così simile all’originale per somiglianza da dubitare più di una volta durante le sequenze “storicizzate”, realizzate con una Betacam degli anni Novanta, su chi sia in scena.

Andrea Arcangeli

Il Divin Codino (2021): Andrea Arcangeli

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