Regia di Samantha Stark vedi scheda film
Nel 2008, all'apice della fama e perseguitata da fans, giornalisti e paparazzi, Britney Spears ebbe un crollo psicofisico in seguito al quale il padre Jamie venne nominato suo tutore. Tredici anni dopo la cantante, pur avendo dimostrato di essersi ripresa, ancora attende l'esito delle battaglie legali per liberarsi dalla tutela paterna. Nasce così il movimento #freebritney.
L'argomento è quantomeno interessante: anche chi non è un fan della popstar americana, di sicuro conosce qualche sua canzone; in oltre vent'anni di carriera Britney Spears ha prodotto una tale mole di hits da non poter passare inosservata neppure dai più distratti. Quel che la gran parte del pubblico tende a non sapere è che, dopo il crollo psicofisico del 2008 (quando era sui tabloid praticamente ogni giorno, tra scandali veri o più spesso presunti), la Spears venne messa sotto la tutela del padre e che nel 2021 ancora questa tutela ha pieno valore legale. Ecco quindi perché il New York Times mette in piedi questo documentario, che sfrutta le voci di alcuni ex collaboratori della cantante e dei rappresentanti del movimento #freebritney, che tramite la rete sensibilizza l'opinione pubblica sul tema. Ciò che manca a questo lavoro però è un'organizzazione solida, uno schema logico e cronologico ferreo: tanto per cominciare, la carriera della Spears (ovvero ciò per cui è maggiormente nota, quindi l'insieme di elementi più utili a raccapezzarsi nel racconto intrapreso dal film) è trattata molto marginalmente e, a parte una rapida citazione del primo disco, rimane sempre in secondo piano; e poi purtroppo va constatato come manchino testimonianze dirette sul caso, da parte di chi ha insomma parte attiva nel caso della tutela di Britney Spears: non un fulgido esempio di grande giornalismo d'inchiesta, questo Framing Britney Spears. Per tacere poi del macroscopico errore sulla data di nascita, spostata al 1982 (basta Wikipedia per constatare che è il 1981), ma per quello pazienza. 5/10.
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