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Decalogo 10

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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La recensione su Decalogo 10

di Aquilant
8 stelle

Storia bizzarra, paradossale, tragicomica, basata sulla voglia di possesso fine a sé stessa, imperniata su una singolare eredità e sulle relative ripercussioni a catena che si allargano a macchia d’olio andando ad incidere sulla tranquilla esistenza di due fratelli spinti dalla molla dell’avidità a compiere gesta insensate ed a porsi l’uno contro l’altro (dis)armati. Sicuramente in linea con l’altissimo livello qualitativo della serie anche se caratterizzata da una varietà di toni decisamente grotteschi che contrastano con la seriosità e con la tormentata atmosfera dei precedenti episodi, ma che contribuiscono ad introdurre una vena di sano umorismo e ci fanno avvertire alla fine della partita la necessità di una generale sdrammatizzazione.
Se ad uno sguardo un po’ distratto ed almeno a giudicare dalla stessa fotografia restituita in maniera alquanto impersonale l’autore ci appare smanioso di concedersi finalmente dei momenti di distensione onde scrollarsi di dosso tutta la tensione accumulata in nove destabilizzanti episodi, ad una lettura più dettagliata di tutti gli elementi utili alla comprensione della storia la situazione si complica. Traspaiono a poco a poco tra le pieghe della narrazione delle metafore emblematiche legate al mito della roba e del possesso fine a sé stesso che si espande come un’epidemia contagiosa fino a corrodere l’animo ottenebrato dell’uomo inducendolo a chiudersi a riccio in sé stesso fino a rinnegare persino il proprio sangue.
Ed alla fine della serie resta la sensazione di essere stati testimoni di un affresco epocale di vaste proporzioni che trae le sue coordinate direttamente dall’interno della complessa struttura della psiche umana, controllandone i meccanismi di reazione e svelandone impietosamente i relativi malfunzionamenti in maniera strettamente impersonale. L’intera architettura del Decalogo presa sia nella sua globalità che singolarmente è sicuramente da annoverare tra le più alte vette dell’ingegno artistico dell’uomo e la conclusione che traspare dalla sua lettura non fa che ribadire la pochezza dell’individuo di fronte ai misteri dell’universo ed all’imprevedibilità del caso. Ma non è certo nelle intenzioni dell’autore quella di ergersi a moralista: la sua aria di distacco davanti alle brutture di un mondo allo sbando sta a testimoniare l’assoluta incapacità di applicazione di un qualsiasi giudizio critico. In una serie di casi sintomatici come quelli del Decalogo Kieslowski si concede la facoltà di rendere muta testimonianza di quanto si svolge davanti ai suoi occhi ma non quella di ergersi a giudice in sostituzione dell’autorità divina.














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