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Siccità

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Siccità

di lamettrie
3 stelle

Un brutto film, pur con tanti pregi. Scritto in fretta, pur di sfruttare i problemi del momento, allora quelli enormi del covid, impastandoli con quelli del riscaldamento globale.

Il soggetto, di Virzì medesimo e dello scrittore Giordano, tratta di tutto, ma in modo disarticolato, e anche commerciale, per quanto voglia colpire senza profondità. Tutto è trattato in modo superficiale, in un minestrone dove si sparano tanti colpi ad effetto, ma nessuno dei quali permetta di riflettere in modo degno, né di rimanere impresso nella memoria, alla maniera della sociologia da cattivo giornalismo (ovvero quella di quasi tutto il giornalismo).

Il tutto cui si accennava è proprio tutto: corna; foto osè mandate via watsapp; femminicidi; altri omicidi; furti; sceneggiate di squilibrati; incidenti stradali, poi lasciati perdere dai loro autori, in preda ad alterazione mentale; rabbia inespressa dell’adolescente contro il mondo e i genitori in generale; vecchi rancori contro padri degeneri; famiglie miste; depressioni per abbandoni sentimentali; infelicità matrimoniali e sentimentali in genere; amori omosessuali; tormenti di ricordi angosciosi; ladri di borgata, che tentano la scalata nel jet set; razzismo; sfogo dell’infelicità anche attraverso teppismi di vario tipo; superstizione religiosa per placare il cataclisma.  

Per quanto riguarda il comparto pandemia, allora inevitabilmente all’ordine del giorno, abbiamo: la dittatura; la retorica del lieto fine; il divismo degli specialisti della pandemia; la malattia troppo presente, che rovina la vita di molti, a volte fino a spegnerla del tutto, in modi del tutto inaspettati perché inusuali; la denuncia via social dei vicini che infrangono le leggi, pur se per poco; la pignoleria di chi (forze dell’ordine, cassieri…) deve far rispettare delle norme restrittive ma inevitabili…  

Poi c’è un pessimismo eccessivo, inverosimile per la disperazione indotta. Virzì non può perdere il tocco dell’ironia, per quanta amara, della commedia all’italiana: se non ha tra le mani un testo favoloso, come quello del Capitale umano, i risultati sono deludenti, come qui. Troppa è l’ansia creata in modo gratuito. Va bene la denuncia dei possibili mali della condizione umana, ma qui si ravvisa una forzatura ragguardevole. 

Viene poi troppo sfottuto chi ha problemi (l’ignorante balbuziente; la ricca ereditiera squilibrata), in una sarabanda di eccessi affastellati senza che nulla abbia il giusto rilievo. 

Ci sono anche molti pregi, comunque, che pure non evitano un giudizio pesantemente negativo: la polemica sociale contro capitalisti avidi, nonché responsabili dei disastri climatici; la critica contro i politici classici italiani, ovvero laidi, ingannatori e ben arricchitisi grazie alla rovina dei popoli di cui hanno proclamato di fare gli interessi pur di accalappiarsene il voto; la tv con il suo sensazionalismo morboso, ben lontano dalla serietà che richiederebbero i temi che essa tocca; la cultura italiana del teatrante, tutto apparenza. Drogato di notorietà e quindi ossessionato dalla popolarità sui social, l’attore interpretato da Ragno è incapace di uscire dalla retorica, nonché di dire un minimo di cose serie e profonde, al di là dell’apparenza. Infatti è un padre fallimentare: totalmente diseducativo. Cerca di colmare con l’inganno verbale la consapevolezza reale della sua penosa condizione.

Splendida anche la scenografia su Roma deserta. Altro “pro”: la denuncia della desertificazione, di cui rischiamo di rendere tragiche vittimi i nostri innocenti posteri.

Non da ultima, va elogiata la recitazione: Ragno e Mastrandrea in parti difficili, e la Pandolfi. Ma anche attori meno famosi come Max Tortora recitano bene, e tutti, si può dire.

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