Roma, in un oggi distopico.
Tre anni di siccità hanno prosciugato il Tevere, infestato l'Urbe di blatte infette e gettato l'umanità in uno sconforto ontologico.
Seguiamo le storie di Antonio, sottoproletario evaso controvoglia; di Alberto Jacolucci, ex artigiano ridotto in miseria; di Loris autista ed ex marito di Sara, medico al Policlinico Sant'Anna che cura i numerosi casi di disidratazione e narcolessia; di Raffaella Zarate, tremula rampolla della Zarate Spa, specializzata in terme e giochi d'acqua; di Alfredo, attore vanesio riciclatosi come santone youtuber e sua moglie Mila, ex attrice ora cassiera in un Supermarket, e del di loro figlio; e dei coatti Valerio e Giulia, in atteso del loro primo figlio.
Gravitano su tutte queste anime (del Purgatorio, direbbe Eduardo) le ponderose elucubrazioni del Professor Del Vecchio, autore di un best seller sulla situazione attuale.
Virzì, autore del soggetto con Paolo Giordano, alza il tiro, nuovamente, e torna a riflettere sulla Romamondo, perfezionando il discorso aperto - e lasciato sospeso - in Notti Magiche. La città che presenta qua è la deriva distopica di quella nuova Babilonia presentata nel penultimo film del 2018 (ma il discorso sulla corruzione dei costumi era già cominciato al Nord, col Capitale umano di 4 anni prima - dove lo aveva lasciato Germi?). La notte maggica ha lasciato il posto a un eterno presente assolato e sitibondo, in cui i personaggi si muovono ansimanti e spauriti, come gli scarafaggi che scompaiono sotto i mobili in ogni dove.
Siccità è un film corale, ben diretto, con un cast di attori stranoti, su cui svettano Valerio Mastandrea, che porta su di sé tutto l'affanno della ignobile vita odierna; Silvio Orlando, nel ruolo di uno charlot con un oscuro passato; Tommaso Ragno con un fisico alla De Niro in pieno delirio da Actor Studio; ed Emanuela Fanelli, mai così inquieta e inquietante.
Ma questo "nuovo" Virzì stramorale, che ci ha ricordato l'ultimo Elio Petri, su tutti quello di Buone Notizie (1979), e che vuole farci strariflettere su dove andremo a finire (o siamo già finiti, ecco qui fate voi), se riesce benissimo a scoperchiare il vaso di Pandora (i primi 30 minuti sono al fulmicotone), non riesce - a nostro avviso - a richiuderlo perfettamente, e il finale manzoniano, con provvida carneficina e pulizia pluviale, ci ha fatto sollevare più di un sopracciglio.
Non tutto è, dunque, padroneggiato alla perfezione. Ci sono delle autocitazioni manieristiche (divertitevi a), e a un certo punto ci troviamo addirittura in una processione degna di Luigi Magni (capiamo anche che come fai a parlar di Roma, senza citare il Maestro?).
Ma, forse, il vero problema è stato nell'aver lasciata troppa briglia al team di sceneggiatori.
Forse.
Detto questo, osanniamo l'arsa fotografia di Luca Bigazzi, e il sontuoso montaggio di Jacopo Quadri (che maestrìa nel padroneggiare tutto questo materiale!).
Infine, non ascoltate le nostre perplessità, e guardatevi questo bendiddio.
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