Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
A Roma non piove da tre anni, le auto sono incrostate di polvere e gli alberi si ergono scheletrici nel cielo seppia. Il letto prosciugato del Tevere restituisce le antiche vestigia di un tempo in cui la capitale fu il centro del Mare nostrum. Un ruolo che ora non ricoprirebbe, se non fosse per l'anomalia meteorologica che funesta il suo profilo marmoreo rendendola il più burroso dei pettegolezzi televisivi. Il dottor Del Vecchio sbraita dal Veneto che i cambiamenti climatici stanno presentando il conto mentre l'Urbe non riesce a darsi un contegno. Non c'è più acqua ma di furbetti ce ne sono sempre, pizzicati ad annaffiare piante o lavare l'automobile. Peggio di loro per responsabilità civica è la famiglia Zarate che detiene la proprietà di una spa in cui litri di acqua pubblica sono versati senza ritegno nelle piscine. Mentre i ricchi si mettono a mollo nella struttura le strade straripano di giovani rivoltosi che si rivolgono ad un governo assente affinché faccia finalmente qualcosa. La gente comune, invece, passa ore in fila all'autocisterna per elemosinare un flacone con cui lavarsi e dissetarsi.
A differenza del genere umano gli scarafaggi zampettano allegramente nelle case mettendo in mostra il nuovo status che occupano nell'ecosistema urbano mentre una strana malattia viene scoperta nel reparto di pronto soccorso in cui lavorano Sara e Giulia, rispettivamente medico ed infermiera di medicina d'urgenza. Quello ospedaliero (insieme a quello carcerario) sembra l'unico settore a non lamentare cali nella domanda mentre lo stesso non si può dire per bar e attrazioni turistiche. Loris, infatti, vaga per la città con un taxi vuoto mentre vorrebbe dormire un lungo sonno rigeneratore che metta fine ai colloqui molesti con i genitori e con il vecchio datore di lavoro. Mila, invece, sbarca il lunario in un supermercato in attesa che il marito attore ridimensioni il suo ego smisurato e torni a fare qualcosa di utile per la famiglia.
Questi sono solo alcuni dei personaggi che vagano per la città secondo uno schema complesso, di stampo altmaniano, di provata efficacia. Alcuni si guardano da lontano, altri si sfiorano, per altri l'approccio è più fisico e sanguigno e finisce in un litigio, peggio, in un vero e proprio schianto. Ciascuno, tuttavia, compie quanto deve, secondo tempi affini alla propria parabola personale. Le interazioni sono affidate al caso ma c'è un filo che lega ciascuno agli altri, un filo che il dio della pioggia e dei fulmini manovra distrattamente per rincorrere qualche ninfetta, dimentico della sete dei propri figli. La siccità è la forza che mette uomini e donne in collisione e ad essa si aggiunge la Tripanosomiasi africana distribuita generosamente dalla mosca tse-tse che ha trovato tra i fori imperiali e lungo le sponde del sacro fiume l'habitat ideale per riprodursi. I cittadini di Roma sono vittime della stessa sete d'acqua ma alcuni di loro sono preda di un'arsura ben più profonda che si fa largo tra comportamenti opachi come l'abuso dei social media o il ricorso ad un appagamento sessuale che passa per gli schermi digitali di un telefonino.
L'aridità dell'anima non è solo quella dei sentimenti, dei tradimenti, del vuoto rapporto tra genitori e figli. È un problema che partendo dal singolo evolve in un paradigma sociale di ignoranza e gestione oscena delle risorse comuni. Attento sia al singolo quanto al complesso sociale, di cui unico personaggio positivo è, per assurdo, il galeotto Antonio, Virzì raggiunge l'apice della satira nelle conversazioni tra il tassista e l'ex presidente del Consiglio. Quest'ultimo riassume nella propria persona tutti i meschini calcoli della classe politica italiana. Sarebbe però interessante sapere se Paolo Virzì abbia pensato a Matteo Renzi sin dall'inizio o abbia cucito attorno al quasi omonimo attore Andrea Renzi lo stretto cappotto del politico fiorentino. Comunque sia la satira è geniale. Per questo e per il ricorso ad una satira pungente il regista toscano torna alla grande a parlare di Roma dopo quel "Notti magiche", malinconica ma non perfettamente riuscita ricostruzione dell'ambiente intellettuale e artistico della capitale agli inizio degli anni Novanta. In Siccità non c'è nulla di intellettuale salvo un concerto i cui striscioni pubblicitari scimmiottano con cattiveria quel "andrà tutto bene" di pandemica memoria mentre al ritmo delle note un corpo sussulta negli spasmi dell'asfissia.
La società e il singolo sono caduti nella barbarie ma un'accorata richiesta di perdono può ancora muovere il cuore a pietà ed intenerire il dio delle pioggie, ormai sazio dei propri appetiti, e pronto a liberare le nuvole gonfie di passaggio sul cielo romano.
Cineforum Leoniceno - Cinema Eliseo - Lonigo (VI)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta