Regia di Dino Risi vedi scheda film
L’incomprensione che avvolge questo film “minore” di Dino Risi è tutta riconducibile a tre ragioni particolari: lo stile, il genere, ciò che non è. Partiamo da quest’ultimo: molti l’hanno accreditato come un thriller. Lo è? Secondo me fino ad un certo punto. È un film sull’anima. Non a caso il titolo cita esplicitamente quella misteriosa parte dell’essere umano. E l’anima fuoriesce dal corpo per materializzarsi. Diventa uomo, diventa donna, diventa personaggio della storia. Si perde, come dice il titolo. Quindi si tramuta in fantasma. È un film di fantasmi, tutto ciò che vive il film sembra infestato dagli spettri. Perfino Venezia è spettrale (ma a differenza dei vari Anonimo veneziano – in cui era più livida – e Morte a Venezia – maggiormente decadente – qui è irrequietamente cupa). Ma, allora, è un thriller? Ne segue disordinatamente i canoni, ma ne conserva l’essenza profonda e arcana. Difatti, è un’opera vividamente inquieta(nte). Turba, Anima persa (più che persa, rende meglio l’idea il termine “perduta”), per il suo carattere terribilmente minimalista. Ti fa credere, per almeno un’ora e passa, che il tema del film sia anche il rapporto con quel fratello matto.
C’è un ragazzo che viene ospitato da dei lontani zii in quel di Venezia per studiare da pittore. Ad un certo punto scopre che in soffitta vi si nasconde un uomo, il fratello dello zio. Dunque comincia a scavare nel passato dei due oscuri parenti e l’epilogo si rivela sconvolgente. È il film più imprevedibile di quel gran cineasta che fu Dino Risi. Ogni cosa succede quasi per caso, ma con calcolata logicità. Per buona parte della storia pensi che il fulcro principale sia rappresentato dal rapporto tra Fabio e Tino, il vecchio e il giovane. Torna alla mente il binomio affettivo che già si era verificato in Profumo di donna (il capolavoro della maturità di Risi), non a caso il soggetto è tratto ancora una volta da un romanzo di Giovanni Arpino. C’è la costruzione di Fabio come personaggio intellettuale e filotedesco che vive in mezzo ai libri: un mastodontico Vittorio Gassman. C’è il personaggio della moglie, nervosa e persa in se stessa, e poi si piglia beffa di tutto e di tutti: strepitosa Catherine Deneuve. Impressionante il finale. Di gran lunga uno dei film più folli ed assurdi del cinema italiano. Tesissimo e agitato: riscopritelo.
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