Regia di Damien Odoul vedi scheda film
Le esperienze e le percezioni grottesche di Theo detto To, giovane affetto da sindrome di Down che vive nei boschi, sono al centro dello sperimentale Theo et les métamorphoses di Damien Odoul, presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2021. La voice over di To appiattisce volutamente ciò che avviene in scena, ridefinendo tante delle gerarchie e dei taboo che siamo abituati a vedere sullo schermo: da quello, certamente in primo piano, di un protagonista con sindrome di Down in scena spesso nudo e alle prese con atti estremi, alla sessualità promiscua sempre allusa e talvolta anche mostrata. Il punto davvero ridefinente di questo schema è che tutto questo è disposto a pari merito con eventi di natura diversissima, come To che gioca a ping pong da solo, To che gioca con una lepre o To che ascolta della musica. La voice over chiede giustamente allo spettatore una distanza incolmabile, in cui l’ironia l’incubo e il trip diventano le patine necessarie a raccontare la vita di To. Mentre il divario fra finzione e realtà si annulla, o scade inevitabilmente nel dimenticatoio, a diventare importante è entrare nella vita del protagonista dalla via “laterale” del cinema, di uno sguardo esterno, che forse trova un miracoloso equilibrio di rispetto e di placidità pur osservando masturbazioni, patricidi ed evirazioni.
A mettersi in atto, in Theo, è un senso particolare di “immagine esplicita”, che asseconda la rigidità di uno sguardo esterno – rigido benché ironico o inquietante o lisergico – ma nasconde le intenzioni autoriali; un’ “immagine esplicita” che si lascia andare al non-ritmo delle parole di To ma non osa mai davvero diventare esperienza sensoriale immersiva (se non nel bell’incipit speleologico). Si tratta di un’esperienza a suo modo unica ma che potrebbe davvero incutere le più diverse sensazioni nei diversi spettatori, e quest’ignavia di fondo che tiene più di due piedi in una scarpa è forse l’unico grande difetto di Theo.
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