Regia di Ramon Zürcher, Silvan Zürcher vedi scheda film
Cinema d'interni firmato da un duetto di registi gemelli svizzeri, lo scenario di un trasloco diventa l'occasione per addentrarsi nella "psicologia dell'addio". Due studentesse hanno condiviso un appartamento per anni, forse non solo la quotidianità studentesca ma qualcosa di più profondo e simile all'amore, ma non c'è dato saperlo. Il film si apre quando il trasloco è già in corso, Lisa (una delle due ragazze) deve cambiare casa, l'altra (Mara) rimane. Una separazione è in atto, un senso di angoscia si diffonde e riempie le stanze, ed è quella di Mara (la protagonista dai bellissimi occhi al centro della maggiorparte delle inquadrature).
I due registi costruiscono un microcosmo sociale, un manipolo di persone vortica intorno alle ragazze, facciamo la conoscenza del vicinato, c'è la madre single, gli operai che effettuano i lavori, i coinquilini che aiutano, gli amici alla festa, tutti si aggirano all'interno degli appartamenti (vecchio e nuovo), tutti sono sempre in scena e si frappongono come ostacoli nella comunicazione tra le due ragazze.
Mara sta vivendo un confuso stato di isolamento a causa della partenza dell'amica e gli eventi concomitanti, non riesce ad esprimere verbalmente i sentimenti che prova per Lisa e allora causa piccoli incidenti domestici per sabotare la partenza dell'amica, gli sguardi sono lunghi e allusivi, i non-detto si sprecano, i dialoghi quando innescati sono più simili a delle vere e proprie allegorie. La non-comunicazione sembra colpire non solo Mara ma anche le altre persone nella stanza, chi nutre un interesse nei confronti dell'altro non riesce ad esprimerlo, ed è così che l'operaio invaghito di Mara finisce a letto non con una ma ben due vicine piuttosto che con lei, perché di contro i rapporti più marginali e imprevisti si fanno più intensi e comunicativi. Anche qui (come ho visto di recente in "Shiva Baby") abbiamo un caos interiore che si manifesta sul piano esteriore attraverso la distorsione della realtà.
Una separazione può essere vissuta come un lutto ma a fare ancora più paura è il cambiamento, soprattutto quando si ha la sensazione di essere diventati degli osservatori, non più agenti nella propria vita ma spettatori delle esistenze altrui che procedono impetuose, si ha l'angoscia di venire dimenticati, di diventare invisibili e rimanere bloccati all'interno di un vecchio appartamento come un fantasma. L'ultima inquadratura del film è abbastanza emblematica in tal senso.
'The Girl and the Spider" ha un ritmo abbastanza anti-strutturale, ha un incedere lento, gli ambienti sono asettici, da catalogo Ikea, così come le interpretazione degli attori, la fotografia è luminosissima e pulita e apprezza i contrasti di piccoli oggetti colore pastello vividissimi in ambienti in cui domina il bianco.
Il lavoro della coppia di registi non è privo di personalità e possiede connotazioni piuttosto ermetiche da esplorare, ma ammetto non mi sia piaciuto particolarmente, il ritmo sonnambulo, il senso di alienazione e l'aspetto asettico di ambienti, corpi e rapporti non sono propriamente affini al mio gusto cinematografico, preferisco un cinema più vorace, ormonale ed emotivamente carico e non un cinema geometrico e lambiccato nella forma, per quanto comprenda che essa sia spesso funzionale ai suoi contenuti. Ed è questo il caso.
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