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Azor

Regia di Andreas Fontana vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Azor

di yume
8 stelle

 

locandina

Azor (2021): locandina

Argentina 1980. La Giunta militare tra il 1976 e il 1979 ha perfezionato la brutale campagna repressiva mirante al c.d. “Processo di riorganizzazione nazionale”: privazione della libertà senza procedimenti giudiziari, detenzione in luoghi segreti controllati dalle forze armate, tortura e sparizioni.

Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi.

Il programma attuato con capillare efferatezza da militari e accoliti funziona alla perfezione e la parola desaparecidos arricchisce da allora il nostro vocabolario.

Tempo tre anni, 1983, ci saranno libere elezioni grazie a congiunture internazionali o forse perché i regimi prima o poi implodono per autocombustione, ma nel 1980 i motori sono a pieno regime.

Questa sintetica memoria storica per introdurre un film opera prima di Andreas Fontana, che dalla Svizzera dove vive riapre una pagina dolorosa mosso dal ritrovamento di un diario del nonno.

Il giovane regista mostra fin dall’esordio ottime carte che la critica internazionale ha riconosciuto, mentre in Italia sembra aver perso la strada delle sale, as usual, ben altre opere prime (o seconde) solleticano il nostrano provincialismo.

 

Fabrizio Rongione, Stéphanie Cléau

Azor (2021): Fabrizio Rongione, Stéphanie Cléau

Le pagine dello scarno diario furono scritte dal nonno, banchiere in Ginevra, durante un viaggio di piacere in Argentina, allorchè pensò di registrare, con laconiche impressioni, fatti e incontri di quei tempi feroci. Tempi che riuscivano anche a scivolare come se nulla fosse oltre le spalle di classi privilegiate locali.

Questo è l’osservatorio di Fontana, la violenza è oltre la cortina fumogena ben stesa da un milieu di super ricchi, super potenti, legati a filo doppio dal comune interesse a mantenere privilegi, prebende, beni mobili e immobili.

Di quella violenza Fontana ci fa avvertire il lontano fragore creando un clima sospeso, inquietante, a tratti quasi onirico, che non bastano bon ton e generale fair play a dissipare.

E’ un viaggio nell’orrore non meno agghiacciante di quello riferito dalle cronache dell’epoca, perché subdolo, sottocoperta, alle radici stesse di quel male che si tradusse in centinaia di migliaia di morti

E quel che più angoscia è la certezza che, se di desaparecidos non si parla più, l’esistenza di una casta di intoccabili è sempre viva e pensa a noi.

Yvan, il banchiere privato di Ginevra in visita con la moglie Inés per contattare clienti, concludere affari, cercare notizie sul socio René Keys misteriosamente scomparso, ha un credo condiviso dai suoi compagni di vita e di affari e si esprime in una parola in codice, Azor, “stai zitto”.

Poche parole di cortesia, scambi di idee apparentemente innocui, un muoversiintornodi amabile piacevolezza informa le serate di gala a bordo piscina, i rendez-vous fra papaveri dell’alta finanza nei circoli esclusivi, hall di lussuosi hotel, corse all’ippodromo attorniati dall’innocuo ciacolare di mogli e amanti distese al sole.

Di Keys scomparso, pare, in gran fretta dal suo appartamento, non si arriva a saper nulla, ma sembra l’ultimo dei problemi di Yvan che riceve risposte sfuggenti, a volte falsamente rassicuranti, ma nulla di chiaro e definitivo fino alla fine.

Un convitato di pietra? No, uno che, evidentemente, aveva dimenticato la parola chiave, Azor.

Quando la coppia svizzera arriva a Buenos Aires è bloccata nel taxi dalla polizia militare che sta arrestando due giovani. Nessun problema, rassicura il taxista, tra poco passeremo.

I due coniugi guardano altrove.

Tutto il film è un guardare altrove, Yvan non sembra mai seriamente turbato da nulla, star zitto è il suo credo, come parlare e rispondere con studiata cortesia, fingere di non vedere in quei vecchi notabili grigi e malinconici lo sfascio morale che non risparmia nessuno, nemmeno l’anziano prelato che gli parla con melliflua bonomia della fase di “purificazione” che si sta vivendo, della necessità di rieducare i giovani, tra cui, purtroppo, ci sono elementi irriducibili, parassiti da eliminare.

Intensi primi piani, campi e controcampi, sguardi dietro i quali si nasconde il non detto, silenzi prolungati.

Fabrizio Rongione interpreta con studiata perfezione una parte sottilmente sofisticata, fatta di ombre che a tratti passano sul suo viso, immediatamente cancellate da sorrisetti di circostanza e impercettibili “sì”.

Sembra l’idea platonica del banchiere svizzero che nulla turba se non un crollo azionario, men che meno, ipotizziamo, passate collusioni col Terzo Reich.

La moglie Inés è in simbiosi con lui, due corpi e un’anima sola, ambiguità morale e solidi punti di riferimento nella gestione degli affari li uniscono in una convivenza imperturbabile e incolore, forse un giorno furono anche amanti, ora sembrano buoni soci in affari.

Fabrizio Rongione, Juan Trench, Stéphanie Cléau

Azor (2021): Fabrizio Rongione, Juan Trench, Stéphanie Cléau

Per una delle ultime sequenze in trasferta nel selvaggio entroterra argentino, fra folta vegetazione, canneti e paludi attraversate in agile barchetta, fino al ranch del rozzo allevatore di purosangue, viene in mente il Conrad di terre selvagge, privo però di dubbi romantici. Anche lì ci sono affari da gestire, camion carichi di strana merce che ha tutta l’aria di espoliazioni massicce di case svuotate dei loro abitanti.

Fontana lascia scorrere immagini algide e mette in scena personaggi totalmente privi di empatia, li immerge in luoghi su cui il tempo sembra essersi fermato, possono essere il passato ma anche il presente, un mondo popolato da fantasmi pronti a rinascere.

Oggi come allora.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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