Regia di Tim Fehlbaum vedi scheda film
In un futuro imprecisato, il pianeta Terra, avvelenato dalla improvvida avidità dell'essere umano, è stato abbandonato ormai da due generazioni, permettendo a coloro che si potevano permettere di fuggire, di rifugiarsi in un altro pianeta compatibile alla vita umana, chiamato Keplero.
In missione per tentare di verificare che sul nostro pianeta ci possano essere le condizioni per tentare di riprendere una colonizzazione umana, una tenace astronauta rimane isolata assieme ad un collega e, una volta rimasta unica superstite, si rende conto che la vita umana su quel pianeta grigio e spoglio non è mai cessata di esistere, e la popolazione che vi sopravvive, si trova in una condizione pressoché assimilabile ad una sorta di nuova preistoria, ove i potenti soggiogano i deboli, e la tossicità dei luoghi ancora contaminati, rende il vivere quotidiano un ulteriore inferno terreno.
Da un regista svizzero Tim Fehlbaum, specializzato in tematiche fantascientifiche (suo quell'Apocalypse del 2011), Tides, prodotto Roland Emmerich, si porta appresso tematiche mai così attuali e inquietanti, considerato quando emerge dai rapporti sulla salute del nostro pianeta ferito pare in modo irreversibile dal comportamento scellerato di una razza dominante ingrata e menefreghista.
E questo rimane l'aspetto decisamente più interessante e forte di questo sci-fi dai fondamenti green e dai presupposti ecologisti, che, nella sua prima mezz'ora, ci affascina anche con le sue immagini tetre ma anche inevitabilmente piene di fascino di un pianeta sconvolto e devastato, grigio e pietroso tipico di ogni altro simile ove risulta impossibile concepire un'esistenza anche elementare e primordiale.
Poi la vicenda si sviluppa seguendo i canoni del thriller fantascientifico, incentrato sulla vicenda personale della protagonista Blake (Nora Arnezeder, piuttosto convincente) e legata al padre, uomo di spicco tenuto sotto scacco da un complotto proteso a fare in modo che il pianeta Terra continui a non avere possibilità di ripresa, e soffre per la solita rappresentazione un po' puerile della condizione di adattamento di una umanità che appare, nel presente come nel futuro, rappresentata sempre in modo un po' convenzionale che sa un po' di scialbo e prevedibile dejà-vu.
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