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Je Suis Karl

Regia di Christian Schwochow vedi scheda film

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La recensione su Je Suis Karl

di OGM
7 stelle

Qualcuno dei mondi possibili è terribile. E la forza di certe storie assurde è il loro essere chiare, potenti, a volte profondamente istruttive.

Gli slogan mascherano ciò che non si vede, ma che pure si vuole urlare dal palco. Nascosta ed impalpabile, diffusa ed inconfessabile è, sopra ogni cosa, la paura: quel profondo, primordiale terrore di perdere sé stessi, non riconoscendo più, nell’altro, un volto amico o, almeno, simile al nostro. Questa è spesso la spiegazione nel contempo più semplice e più surreale delle grandi inquietudini sociali, prodromiche di radicali e traumatici cambi di regime. Il film di Christian Schwochow fa proprio tale assunto, e lo fa, giustamente, senza alcun timore: non si tira indietro di fronte al rischio dell’eccesso, perché il ripiegamento sui mezzi toni sarebbe un cattivo esempio per noi tutti. Ogni minimo dubbio va coltivato, e affrontato con decisione, prima che si trasformi nell’incontenibile ondata del panico. Se notiamo una crepa nel muro, prendiamo la lente di ingrandimento. Prima che ad amplificarsi sia la voce che grida alla rivoluzione armata, facciamo sì che ad ingigantirsi sia la nostra attenzione sui segnali provenienti dal mondo. Il protagonista di questa storia è una simile incrinatura: una frattura sottile e strisciante, che si mescola alla folla, si mimetizza e trasforma, per poter, a seconda dei casi, disperderla con una deflagrazione o compattarla a suon di incitamenti alla guerra. È una bomba in senso militare e in senso politico, che si alterna nei due ruoli con l’agilità di un eroismo diabolico, in grado di programmare con precisione un geniale meccanismo di creazione e distruzione, azionando i tasti dell’amore e dell’odio, della vita e della morte, dell’ordine e del caos. Il venticinquenne Karl, militante di un movimento giovanile europeo a sfondo xenofobo, incarna un potere che nasce dentro di noi, una forza che l’unione di milioni di cuori insicuri e spaventati potrebbe realizzare se solo i loro battiti riuscissero a sincronizzarsi perfettamente. La tesi si impone con il travolgente vigore di un’astrazione assurda, e viene istintivo respingerla, ma anche accoglierla come un fantastico sfogo liberatorio. Non è questione di argomenti contro o a favore, lo sviluppo della storia (e, magari, della Storia?) è affidato in toto agli impulsi emotivi, che, prima o poi, si condensano in fantocci di pensieri traducibili in parole. È la folle razionalità della passione: anche questa è in grado di porsi obiettivi ed elaborare piani, approntando gli strumenti adatti. Le armi si propongono quindi come il naturale prolungamento del corpo e dell’anima,  in chiave individuale e collettiva. Il film esprime quest’idea dando risalto alla dimensione fisica, con riferimenti indiretti ai cadaveri smembrati (una casa distrutta, un cumulo di oggetti ridotti a pezzi, uccelli morti) e richiami espliciti allo spirito di corpo, al sacrificio del sangue, ad un eros sconfinante nella violenza. Chi si sente solo, in mezzo ad un’umanità dall’identità sfuggente, trova rifugio in una massa dotata di un nome, di un simbolo, di un luogo di aggregazione in cui tutti, finalmente, sono uguali. Lo diventano al punto di risultare interscambiabili (vittima è, allo stesso modo, ognuno di loro), e di potersi fondere in un solo essere (Je suis Karl). La banale generalizzazione posta a fondamento del male opera dapprima sul piano dei nemici, ma poi, in maniera ancora più incisiva, sul piano degli amici: ed è solo allora che può produrre i suoi spietati e devastanti effetti.

 

Fleur Geffrier

Je Suis Karl (2021): Fleur Geffrier

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