Regia di Radu Jude vedi scheda film
Emi (Katia Pascariu) è un’insegnante di scuola e un giorno si riprende con la videocamera mentre fa sesso con il marito (Alexandru Potocean). Una prestazione sessuale racchiusa nelle quattro mura domestiche e che al massimo sarebbe stata pubblicata in un sito porno dedicato. Ma questo video viene visto dagli alunni di Emi, che così vede messa in seria discussione la sua reputazione di insegnante e la sua onorabilità di donna. Perché, mentre la dirigente scolastica (Claudia Ieremia) cerca di difenderla in quanto gli riconosce una professionalità sul lavoro senza eguali, i genitori dei suoi alunni non ne vogliono sapere di far passare sotto silenzio la questione. Così si riuniscono urgentemente in una riunione straordinaria per chiedere che l'insegnante venga allontanata dalla scuola frequentata dai propri figli.
“Sesso sfortunato o Follie porno” di Radu Jude (premiato a Berlino con l’Orso d’oro) è come quella persona che anche se non la riesci ad afferrare del tutto ti colpisce per l'intelligenza che fa emergere in tutta evidenza. Ecco, il film del talentuoso autore rumeno mi ha piacevolmente colpito, non solo per il modo affatto ricattatorio e gratuito di essere spiazzante, ma perché pratica questa attitudine stilistica rinnovandola quasi ad ogni fotogramma.
Il film si compone di un prologo e tre capitoli, legati tra di loro da una coerenza che è più filologica che narrativa (Via a senso unico ; Breve dizionario di aneddoti, cartelli e meraviglie ; Prassi ed insinuazioni da sitcom). Si inizia con un incipit pornografico che ricalca gli stilemi tipici di un video amatoriale rinvenibile sui siti dedicati. Non si praticano censure, il piacere dei sensi viene rappresentato in tutta la sua spudorata integrità. Poi si prosegue seguendo la protagonista per le vie di Bucarest, tra scene di ordinaria maleducazione “machista” e reiterate inciviltà urbane. La regia si limita a seguire Emi in ogni dove, lasciando che la macchina da presa si lasci impallare dal traffico cittadino, da Suv parcheggiati a random e dal vociare indistinguibile della folla. Le immagini ci restituiscono la contingente emergenza pandemica (la prima volta vista al cinema per quello che mi riguarda), con le mascherine e le file “chilometriche” di persone distanziate a tracciare le coordinate fotografiche del coevo immaginario. Poi si continua con delle immagini fisse accompagnate da brevi didascalie descrittive (tipo, "Ieri ho provato una grande gioia nel sapere del naufragio del Titanic. Almeno c'è ancora un oceano") che evocano, in una maniera del tutto estemporanea ed affatto seriosa, la lotta di classe, la violenza di genere, la discriminazione razziale, l’istinto ferino del genere umano, la libertà sessuale. Immagini che prese tutte insieme fanno una grottesca rappresentazione delle miserie del mondo. Questa tecnica è già stata usata da Radu Jude in “The dead Nation”, dove un insieme di fotografie testimoniano di quanto la popolazione Rumena abbia subito la persecuzione antisemita tra gli anni trenta e quaranta. Infine, il tutto si conclude con quella che è una specie di processo all’aperto che i genitori degli alunni fanno ad Emi. Una sorta di requisitoria moralistica che non lascia spazio al vivifico esercizio del paradosso e alle private libertà del proprio corpo. La forma cinema riacquista una sua linearità narrativa e ritorna a dare centralità al carattere descrittivo dei dialoghi. Anche se Radu Jude si diverte ad ipotizzare tre finali possibili così intitolati : 1. Il film era solo uno scherzo ; 2. Vi abbiamo solo intrattenuto un po' ; 3. Il film era solo uno scherzo ed ecco come finisce.
Detto tutto ciò, credo possa essere pertinente porsi una domanda : perché un film così strutturato dovrebbe piacere ? Forse perché fa emergere l'abilità tutta cinematografica di aver prodotto un quadro coerente nonostante le parti che lo compongano siano tra di loro diverse sia per la forma stilistica adottata che per i contenuti narrativi. Forse perché padroneggia l'ironia rendendola un un'arma volutamente corrosiva. Forse perché affoga in mari di libidinosa esposizione sessuale tanta ipocrisia censoria. Forse perché il cinema si mette il vestito a festa mostrando in quanti modi possibili gli si può rendere degnamente omaggio. Forse perché sa rendere l'idea che l'abitudine a dare più importanza alle perversioni domestiche praticate da privati cittadini che alle colpe commesse nell'esercizio pubblico del potere è più pornografica della pornografia comunemente intesa. Forse perchè, nel tempo dell'incontrastato dominio delle immagini e della loro continuata riproduzione "al digitale", l'occhio si abitua indifferentemente ad accogliere tutto senza soffermarsi seriamente su nulla. Forse perché in tutto questo coacervo di significati possibili si annida il tema portante di tanto ottimo cinema rumeno : la faccia di un paese ancora alla ricerca delle migliori coordinate etiche e sociali. Un paese immaturo perché irrisolto e irrisolto perché ancora alle prese con il suo recente e ingombrante passato.
L'appagamento dei sensi viene sovrastato dalla maleducazione del più forte e dalla curiosità pruriginosa che veste di finto perbenismo i suoi vizi nascosti. Il privato diventa pubblico perché l'occhio indiscreto della macchina da presa esce dai margini imposti dall'inquadratura per offrire al pubblico dileggio una nuova ragione di esistere. Sale in cattedra la macchina da presa con tutte le sue potenzialità evocative. Come la storia più o meno recente che agisce sempre sottotraccia, che con i suoi tanti fotogrammi scomponibili e sovrapponibili sta lì a dimostrare quando possa essere miserabile il genere umano e quanto sia più saggio prendere tutto un po’ più alla leggera. Insomma, “Sesso sfortunato o Follie porno” è un film che inietta veleno nelle fessure nascoste della società "perbene" con divertito sarcasmo, un’opera spiazzante perché intelligente e intelligente perché opportunamente corrosiva.
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