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Daguerreotypes

Regia di Agnés Varda vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Daguerreotypes

di laulilla
9 stelle

Agnès la Daguerréotypesse: così era affettuosamente chiamata la grande Agnès Varda dagli amici e dai vicini di casa e anche dal vicinato poco lontano dei commercianti di Rue Daguerre, che, per cinquant’anni Agnes aveva visto avvicendarsi mantenendo viva, nel tempo, la singolarità di ogni esperienza individuale e familiare.

Rue Daguerre nel XIV arrondissement di Parigi è la base operativa di questo bellissimo documentario (1976), e avrebbe continuato a essere il luogo degli incontri professionali per i suoi film, fino agli ultimi.

 

 Agnes, dunque, lì era vissuta per cinquant’anni; aveva osservato – con l’umana simpatia di cui aveva improntato i suoi film – non solo gli spazi delle attività commerciali, ma aveva seguito le esperienze umane che ne avevano fatto un luogo unico, nel quale, a pochi passi dalla moderna Tour Montparnasse, si incontravano le più diverse persone.

Ecco la graziosa Rosalie, la figlia di Agnes, che cerca al Chardon Bleu una speciale Acqua di Gelsomino, scegliendo accuratamente la bottiglia vuota in cui verrà trasferito l’aromatico prezioso liquido – secondo una procedura antica che “monsieur e madame Chardon bleu” seguono nelle diverse fasi –

Ecco altri clienti alla ricerca di merce rara: una brillantina, tre bottoni bianchi per una giacca da uomo… Si respira in quella botteguccia, dice Agnes, l’aria malinconica di un “inventario interrotto”, che sembra riflettersi sul proprietario Leonce Debrossian e sulla inquietudine della vecchia moglie Marcelle che non si allontana dalla porta.

 

Fin dalle prime ore del giorno, si apre il sipario della quotidiana magia; il proscenio sul quale  va in scena la vita – sempre uguale – dei vecchi commercianti e di chi offre servizi: il venditore di chincaglierire, che vende anche le bombole del gas e i lecca-lecca; il parrucchiere che ha il negozio pieno di signore che spettegolando amabilmente si fanno belle; il fornaio con le sue “baguettes” e l’istruttore della scuola Guida; il macellaio con i suoi coltelli affilati e il riparatore di antichi orologi da parete, nonché l’accordatore di strumenti musicali che insegna a usare la fisarmonica; il venditore di giornali e gazzette, dove non si parla di politica,…

 

Ci si diverte a ricordare i tempi andati; l’arrivo a Parigi dalla Bretagna o dall’Auvergne; gli amori e i matrimoni che avevano accompagnato, giorno dopo giorno, il prosperare delle attività; i cambiamenti e l’arrivo di nuove immigrazioni.

Sono i magrebini da Djerba, come Moustafa e i neri sud Sahariani che a poco a poco trovano i loro spazi e diventano a loro volta i nuovi volti di Rue Daguerre; sono i clienti più giovani e le studentesse che imparano a guidare l’auto, ma non sempre a guardare dove vanno.

Il lavoro e il fervore non si ferma neppure di notte: accade che la sartoria di Lucien Bossy, il coupeur che a Parigi aveva imparato a tagliare gli abiti e che ora è aiutato dalla moglie, che cuce e assembla i pezzi, continui a lavorare secondo le richieste dei clienti.

 

Qualcosa di importante, però si sta preparando nel caffè d’angolo: il festival della magia!

Divertimento sicuro e gratuito per chi vive e lavora su quella strada e vuole passare una lieta serata senza pensieri.

È un vero mago, l’illusionista “straniero” del XX arrondissement che dà spettacolo e che a poco a poco conquista la fiducia divertita dei commercianti di Rue Daguerre, moltiplicando pani, cibi, anelli e banconote, trasformando l’acqua in vino creando attese e illusioni con qualche esempio di fachiraggio alla buona e di suggestione ipnotica, procurando ferite da coltello con cicatrizzazione istantanea, ovvero esibendosi in un repertorio non particolarmente originale, ma perfetto per quel piccolo mondo di uomini e di donne da troppi anni imprigionati nel proprio lavoro e ormai incapaci di evadere attraverso il sogno.

 

 

 

 

 

 

Commosso e poetico omaggio a un’umanità estinta o in via di estinzione? Forse. Certamente un’opera di poesia e una tenera riflessione sulla vita, firmata da Agnès, l’indimenticabile Daguerréotypesse.

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