Regia di Mario Camerini vedi scheda film
Un milionario sfiduciato ed un poveraccio che sta per porre fine alla propria esistenza cosa possono avere in comune? La medesima considerazione della specie umana? Probabilmente sì. Mentre il miserabile piange la propria sventura, da ascrivere alla cupidigia dei suoi simili, il ricco, oppresso dall'ipocrisia dei pari, paventa l'impossibilità di stringere un rapporto umano davvero sincero. "I soldi non fanno la felicità" recitano i poveri per farsi coraggio mentre i ricchi si interrogano, disillusi, sulle reali intenzioni di subalterni servizievoli, parenti rapaci e amici astuti.
Afflitti da siffatti pensieri Mr Gold e l'ubriacone salvato dall'alcool e da se stesso si scambiano i ruoli dopo una dormita rigeneratrice. Il giovane danaroso se ne va a zonzo con gli abiti sdruciti del pezzente mentre quest'ultimo in frac e con quattro banconote belle sostanziose va in giro raccontando a tutti di aver lasciato i propri panni ad un infelice milionario in cerca di un gesto di pietà disinteressata da ripagare con un bel milione... di franchi. All'udire ciò tutti si mettono a distribuire buone azioni, nella speranza di trovare il finto mendicante e ricevere la lauta ricompensa per tanto buon cuore.
La sintesi di "Darò un milione", film uscito nelle sale italiane nel lontano 1935, sembra piuttosto banale eppure il regista Mario Camerini ed i suoi colleghi sceneggiatori (tra cui l'esordiente Cesare Zavattini!!) riuscirono a nascondere una lucida e irriverente analisi della società del tempo dietro le maglie della censura fascista. Perché se è vero che gli autori dovettero collocare il proprio racconto al di fuori delle patrie sponde è anche vero che non sarà sfuggito all'umile spettatore di allora la corrispondenza tra la società italiana ed il triste spaccato portato alla ribalta sullo schermo. Tutto ciò che si vede nel film di Mario Camerini si adattava benissimo all'Italia del '35, dalla povertà riconoscibile ad ogni angolo delle piazze all'opportunismo subdolo di chi era pronto a scegliere la propria rotta allo spirare del vento. Non tragga, dunque, in inganno l'ambientazione "esotica" in terra transalpina perché la pellicola parla del Bel Paese, dal cognome dell'impresario circense (Primerose) che si poteva leggere in italiano senza storpiarne il significato francese, fino allo stile grafico utilizzato da "Le Courrier du Sud-Est" che tanta rima faceva con il nostrano "Corriere della Sera".
Anche se Camerini non lo poteva dire l'Italia era piena di poveri, spesso costretti a mendicare in un paese tronfio che, inutilmente e boriosamente, si professava moderno ed industrioso. I benestanti, invece, erano per lo più percepiti come disonesti approfittatori che elargivano prebende con una mano e rubavano con l'altra.
"Darò un milione" fa parte del filone cinematografico "dei telefoni bianchi", almeno nella forma, tuttavia la storia d'amore tra Gold e la bella Anna è ambientata in luoghi dozzinali, tra persone ignoranti e spettacoli lascivi. L'azione si svolge presso il circo Primerose che ospita una cena inusuale a favore dei mendicanti della città. Il riferimento, dunque, all'alta società, a cui il pubblico sognava di appartenere, era minimo e si concretizzava, per lo più, nelle sequenze girate nella redazione del giornale ove si consumavano alcolici e prelibati manicaretti tra uomini impettiti ma pieni di vizi. Il quotidiano locale, che modificava a proprio piacimento le parole del milionario per creare un'articolo sensazionalistico da gettare in pasto a gente curiosa e frivola, offrì agli autori il pretesto per ironizzare sulla manipolazione delle notizie, una questione vecchia come il mondo ma sempre valida. La censura e la propaganda fascista limitarono il confronto politico in quegli anni ma non impedirono a Camerini e alla sua cerchia di ironizzare sul processo di "abbellimento delle notizie" da offrire alla comunità. Non dico che il film volesse essere un dardo da scagliare contro la retorica di partito, tanto meno un indice puntato sugli effetti ingannevoli della propaganda, ma l'ironica rappresentazione della stampa (francese), in un film comunque frivolo e leggero, era più che sufficiente per attivare qualche isolato neurone nelle teste degli spettatori.
Vittorio De Sica non ebbe difficoltà a ricoprire i panni del riccone mentre l'angelica Assia Noris si cimentò con la brava ragazza costretta ad ingegnarsi per sopravvivere, in un ambiente irrispettoso e volgare, senza perdere mai la propria dignità e la propria purezza. Ben altro carattere sfoggiò Anastasia von Hertzfeld nella vita. Moglie del regista, ebbe l'ardire di rifiutare Hitler ed il cinema tedesco mentre in Italia ebbe svariati problemi con la censura che le contestava l'avvenenza tenuta al guinzaglio nei personaggi interpretati.
"Darò un milione" fu il primo film della coppia De Sica/Noris, una pellicola piacevole nel suo insieme, molto effervescente nella prima parte, un po' meno nel mezzo, scontata nell'happy end amoroso. Dotata, per altro, di un divertente ultimo atto, finiva con una gran festa organizzata con le quattro sostanziose banconote dell'inizio ed una bellissima carrellata di volti comuni. Ubriachi ma felici.
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