Regia di Pere Portabella vedi scheda film
Un affresco della Spagna franchista solo al primo sguardo scoordinato, non succede altrimenti davanti a Guernica di Picasso
Un autore solidamente radicale, autenticamente rivoluzionario, attivista impegnato in politica e creatore di forme e poetiche nuove, uno che,nei tempi bui in cui lavorò da giovane,fece suo il famoso slogan di Joaquin Jorda.:"Incapaci di fare Victor Hugo, faremo Mallarmé ".
Pere Portabella allora li realizzava in segreto i suoi film e le reti militanti e attiviste a cui era associato pensavano alla distribuzione.
Nocturno29 (1968) è il suo primo lungometraggio.
29 anni è la lunga notte del franchismo in Spagna.
Il titolo introduce in modo diretto al film che risulta un ‘operazione molto ben orchestrata per sciogliersi dai lacci e dai dogmi del linguaggio cinematografico.
Un numero, 29, esattezza matematica e precisione cronologica, e una parola, Notturno, che piace molto al cinema, evoca, suggerisce, ispira.
Per il resto Portabella sceglie l’approccio frammentario, l'immagine in movimento deve parlare della storia a modo suo, dunque non racconto disteso, non documentario con reperti d’archivio, piuttosto cinema puro, occhio e orecchio, memoria visiva e associazioni analogiche.
Ne risulta un affresco solo al primo sguardo scoordinato, non succede altrimenti davanti a Guernica di Picasso.
Quando la visione è completa, la totalità del reale si apre, la prospettiva si dilata all’infinito, anche l’indicibile è detto, liberato dalla strettoia di forme che, se valsero a rappresentare altre epoche e mondi, risultano consunte se applicate a questo.
Il tempo del male, quello che il genio umano è stato capace d’inventare cambiando ogni volta linguaggio e stile, si racconta anche così, partendo da un’elegante coppia della buona borghesia madrilena in una bella villa con parco rigoglioso in qualche località esclusiva della Spagna.
E’ chiaro che fra i due (Lucia Bosé e Mario Cabré) c’è indifferenza, l’appartenenza di classe è il solo collante. Luc Beraud nel 1969, in Cahiers du cinéma, definì il film: “uno schizzo o un diagramma che funge da sonda critica della classe sociale”.
La classe è quella che sempre sostiene i regimi, bon ton e leggerezza le appartengono, il capitalismo e il suo legame con le dittature ha l’aspetto di tavoli da gioco, party lussuosi, campi da golf, luci artificiali e soffuse.
La luce del giorno è invece fredda, velata da trasparenti tende svolazzanti, la donna in bianco, ieratica e distaccata, abita uno spazio asettico, opulento, dove si muove senza una parola.
Un film quasi muto, lo scambio verbale si limita alla superficie o è addirittura futile, come accade spesso nel cinema di Portabella. Esemplare la sciocca controversia sull’identità di un pesce, se è calamaro o seppia, in Warsaw Bridge (1989).
Quando il linguaggio diventa autoreferenziale non comunica, non stabilisce relazione, ciò che conta è stato già fatto e detto, e il massiccio uomo di potere, seduto in poltrona in abito scuro, può guardare alla tv una parata militare e, prima l’uno, poi l’altro, depositare i bulbi oculari sopra tavolinetti ai suoi lati, oppure la signora può accarezzare sensualmente i tessuti di un sarto che si rivelano essere le bandiere del Giappone, del Brasile, del Portogallo.
Anche la Chiesa ha la sua parte nell’utilizzo di linguaggi mistificanti, una processione e uno spettacolo di marionette dicono molto di collusione fra gerarchie ecclesiastiche e potere.
Bianco e nero si alternano a scene girate con il colore, il realismo del Nuovo Cinema Spagnolo approvato dallo Stato è agli antipodi, e anche la Scuola di Barcellona, sperimentale, radicale, di sinistra, non è sempre, necessariamente, il punto di riferimento di Portabella, che pure ne fece parte.
Uomo libero e regista di grande mestiere, amico di Mirò e Tàpies, conoscitore raffinato di musica e letteratura, la sua cifra stilistica è del tutto personale, non di scuola, è creazione di un linguaggio attento alle esperienze europee (soprattutto il surrealismo) ma autonomo e originale nelle soluzioni.
La distanza da quegli anni nulla toglie oggi all’attualità di questo regista ormai novantaduenne che, per la specificità di linguaggio cinematografico e l’ audacia delle scelte stilistiche, l’ironia, l’humor di certe ambientazioni e passaggi di scena, la carica politica che la voluta astrazione destrutturante libera da toni tribunizi, è fra pochi nel panorama di un cinema troppo spesso convenzionale e incapace di slancio.
Portabella afferma da subito la sua identità di regista, le due figure vaganti sull'isola, in apertura, si muovono in funzione della ripresa che qualcuno sta realizzando su di loro, l'unico suono è quello di un rumoroso proiettore cinematografico che allude alla bobina di un film in cabina di proiezione.
Come dire, questo è cinema, provate a decodificarlo e vedrete cosa salta fuori
www.paoladigiuseppe.it
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