Regia di Salomé Jashi vedi scheda film
“Animali, mari, foreste, fiumi, terzo mondo, generazioni future. Non hanno lobbies, partiti, sindacati, giornali, televisioni, ma sono fondamentali per la vita di questo piccolo Pianeta”.
Taming the Garden (2021): locandina
Il formato cinematografico impone restrizioni, il montaggio disciplina le riprese, dietro la camera si accumulano scorie, è inevitabile e soprattutto benefico.
Per un documentario questo processo di rarefazione è ancora più necessario, le sorti del filmato dipendono in gran parte dalla capacità di sintesi del regista.
Dunque documentare significa tagliare, lasciare che l’immagine produca il senso e traduca la storia in exemplum.
Ma non funziona così per un albero.
L’albero parte dalle radici e arriva all’ultima fogliolina sull’ultimo ramo, è un corpo a cui non si possono togliere parti, “addomesticare” un giardino, taming the garden, estende al mondo vegetale la discutibile pratica di cui “gode” soprattutto il mondo animale.
Antropocentrismo come misura del mondo, la “domus” ombelico dell’Universo, entrarci è un privilegio, il signore accoglie munifico cani, gatti, pappagalli e serpenti boa. Ora anche alberi centenari, se ha mezzi per farlo.
Peccato, però, che domus non siano considerate le vecchie stamberghe che da decenni, forse secoli, custodivano in cortile un buon vecchio platano, o quercia, o olmo, che nonni e bisnonni avevano piantato o che era lì da sempre e qualcuno aveva deciso di farci casa intorno.
Ma chi si sognerebbe di sradicare alberi per trapiantarli altrove? Chi, novello dott. Mabuse o Frankestein, oserebbe profanare i divini progetti della natura?
Ebbene sì, proprio noi uomini, “vil razza dannata”, e senza che nessuno (ma chi? Un sindacato degli alberi?) alzi una voce in difesa.
E non parliamo di quelle periodiche eliminazioni di alberi per far luogo a strade e centri commerciali, cementificare il territorio è pratica tanto consueta quanto incontrastata, no, in Taming the garden , documentario della regista georgiana Salomè Jashi, si mostra di peggio: viene trasferito in blocco un albero secolare sradicato dal suo habitat naturale per incrementare un piccolo Eden domestico intorno alla villa supergalattica del magnate di turno. Altri ce ne sono, sparsi su tutto l’orbe terraqueo.
Taming the Garden (2021): scena
Attività poco nota ma in decisa espansione, si imbraca di tutto punto la zolla enorme, si tagliano rami superflui, si mettono in campo manovalanze e macchinari a iosa, l’impresa è ciclopica per costi e capitale umano, infine la pianta scivola su carrucole giganti e s’imbarca su una chiatta enorme per raggiungere l’isola fortunata dove riprenderà a svettare insieme a decine, centinaia di altre piante già arrivate.
Taming the Garden (2021): scena
Schiere di giardinieri provvederanno ininterrottamente a sistemare il green, prati verdi ben spazzolati saranno presto percorsi da schiere accaldate di golfisti che troveranno un benefico ristoro sotto le belle chiome di platani, olmi, aceri, faggi e forse pure baobab di Zanzibar.
Ma questi alberoni che tanto fanno gola a vecchi e nuovi ricchi, erano forse res nullius? Erano merce non protetta a disposizione di chiunque volesse prenderla?
Ridicolo anche solo pensarlo.
Ci sono stati nonni e bisnonni un tempo, e li hanno piantati loro, o forse addirittura l’hanno fatto i loro nonni e bisnonni.
Sotto quelle ombre sono vissute generazioni, nomi e cuori intagliati sulla corteccia ne parlano, ma ora la fame e la miseria rendono irrinunciabile la bella sommetta offerta dall’impresa.
Dunque spelacchiamo pure i poveri e diamo superparrucconi arborei ai ricchi, le loro splendide magioni traboccanti manufatti pregiati hanno bisogno anche di esterni di livello.
Alle casette dei poveri cristi depredate dell’unico tesoro che avevano in cortile resta un bel buco in terra, qualche radice mozzata e le galline che ci razzolano intorno.
Taming the Garden (2021): Salomé Jashi
Nel tocco di Salomè Jashi avvertiamo la cifra di Loznitsa, misura e distanza, le voci degli uomini, il suono della natura, il vento, l’acqua che bagna le coste del paese georgiano, inquadrature fisse, lentissimo procedere delle operazioni di sradicamento, una lotta fra uomo e natura.
Capitalismo e possesso da un lato, povertà dall’altro, interni di case spoglie, marginali fanno da contrappunto al giardino del potente verso cui è diretto l’albero.
Protagonista di Taming the garden (exemplum buono per tutti, gli USA non sono da meno, quanto agli altri continenti è tutto da indagare) l’albero alto come un edificio di cinque piani è destinato alla villa a Shekvetili dell'ex primo ministro miliardario georgiano Ivanishvili, fedelissimo di Putin, generoso nel pagare l’albero ma non altrettanto nel fornire servizi accessori come la costruzione di infrastrutture o almeno la chiusura delle buche nel terreno.
Pare che i media georgiani ne abbiano parlato, l’opinione pubblica ne è rimasta scossa, ma nessuno ha impedito a Salomè di girare. Non sappiamo per quanto tempo ancora, però.
I locali si lamentano, qualcuno fa dell’ironia: “E quando avrà tutti gli alberi?" "Allora inseguirà gli uccelli".
In realtà questo Ivanishvili l’ha già fatto, uno stuolo di meravigliosi fenicotteri rosa allieta le sponde di un laghetto, mentre sentieri fra i bambù, sistemi di irrigazione di ultima generazione, splendidi prati e cespugli fioriti rinnovano i fasti della reggia di Versailles in chiave postmoderna.
Resta da chiedersi perché i proprietari degli alberi abbiano accettato la vergognosa transazione.
Alcune ragioni sono più che comprensibili, alla regista hanno raccontato storie di miseria, malattie, cure da pagare; forse però la ragione più vera è la più inconfessabile: un albero, sia pure centenario custode di memorie familiari, conta poco.
Ambientalisti e ONG, giacche verdi e amici della terra, tutto bello, tutto meritevole, una di queste benemerite associazioni pone sul logo queste parole edificanti:
“Animali, mari, foreste, fiumi, terzo mondo, generazioni future. Non hanno lobbies, partiti, sindacati, giornali, televisioni, ma sono fondamentali per la vita di questo piccolo Pianeta”.
Belle parole, ma solo parole.
E allora, se di parole dobbiamo occuparci, cominciamo a proporre l’eliminazione di una: “ADDOMESTICARE”.
Ci dispiace per il Piccolo principe, la volpe l’intendeva nel senso giusto : “'L’addomesticazione è una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “creare dei legami…”
Taming the Garden (2021): locandina
www.paoladigiuseppe.it
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Non ho ancora visto il film (non me lo perderò: gli argomenti maneggiati mi interessano assai), perciò rimango un po' perplesso dal finale tranchant del tuo bellissimo pezzo, Paola.
Son della razza che prova a cercare quel compromesso tra impegno profuso nella reciproca responsabilità e dipendenza tossica, empatia che amplia la libertà di entrambi gl'individui e un altro tipo di gradazione sentimentale che aumenta il controllo di una parte sull'altra. "Eliminazione" = "sterilità". Compromesso = equilibrio vitale.
Cmq. sì, quel piccoletto era veramente un altezzoso bimbominkia del cazzo (come tutti, prima o poi; più prima che poi, si spera).
I compromessi servono, certo, staremmo sempre in guerra ( e infatti ci stiamo) ma qui mi sono concentrata sul termine, addomesticare implica tante cose che non mi piacciono
In tema, un libro bello e (scientificamente, sociologicamente) importante: "Come Addomesticare una Volpe (e Farla Diventare un Cane)". Dal titolo immagino lo odierai. Nel caso, non fermarti al titolo. È una storia molto conosciuta (per gli addetti ai lavori, ma non solo), che inizia a metà degli anni '50, in Siberia, e, dopo una mole di articoli su riviste scientifiche, questo libro la raccoglie per intero. Scritto da una russa (che di questa storia è la co-protagonista) e da un americano.
https://www.adelphi.it/download.php?id=VTJGc2RHVmtYMTlTck5Nb1R5Y0h6RXY5cnVzaklkRjFtMjNNK01jTW5CUT0
Grazie Mat, davvero, lo ordino stamattina stessa, mi ci voleva una buona lettura di ‘sti tempi :))
E poi di Adelphi, la mia casa preferita e ti spiegherò perché in privato
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