Regia di Nicholas Jarecki vedi scheda film
La regia riesce a tenere saldamente il timone narrativo, coniugandolo con un registro teso, carico di suspense e con la giusta tensione idealistica. Ne esce un prodotto assai ben confezionato che - non fossimo in epoca Covid-19 - avrebbe meritato di riempire le sale.
Ammettiamolo: la traduzione italiana del titolo non è delle più accattivanti. I nostri copywriter avrebbero potuto spremere di più le meningi. Peccato, perché il film di Nicholas Jarechi, già segnalatosi per il notevole La frode, ha il merito - alla stregua dell'opera precedente - di saper miscelare ottimamente cinema di genere e impegno politico-sociale. La vicenda si snoda su tre storie intrecciate: quella di un infiltrato della DEA (Hammer) che deve fare da mediatore tra due potentissimi clan di narcotrafficanti; quella di una madre (Lilly) dipendente da oppiacei che vede morire il figlio della stessa sostanza che lei assume e quella di un docente universitario di chimica (Oldman) che deve testare un nuovo farmaco, trovandosi a ingaggiare una lotta impari con lo strapotere di una compagnia farmaceutica. Il minimo comun denominatore è un farmaco (immaginario) dal quale tutti cercano di trarre illeciti profitti.
La regia riesce a tenere saldamente il timone narrativo, coniugandolo con un registro teso, carico di suspense e con la giusta tensione idealistica. Ne esce un prodotto assai ben confezionato che - non fossimo in epoca Covid-19 - avrebbe meritato di riempire le sale.
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