Regia di John Carpenter vedi scheda film
Non ci stancheremo mai di fare e vedere film contro il pericolo dell'omologazione. L'America, paese germinale dell'omologazione, ne è anche una delle principali voci del dissenso. Come in tanti altri titoli, imparentati soprattutto con la Sci-Fi, anche in "Village of the Damned" lo spauracchio di una razza perfetta, omologata, sterile e priva di umanità è la paura più grande e più incisiva per lo sviluppo narrativo. Tant'è che il regista non lascia misteri insoluti, si sa da subito che sono i bambini a commettere i delitti; nonostante l'aspetto macabro di alcune morti, non è poi così parossistico l'elemento orrorifico. Tutto, insomma, è indirizzato verso la teoria politica di Carpenter. Inoltre, volendo salvare uno dei bambini, il regista non nasconde la sua simpatia, politica e mitica, nei confronti dei diversi che popolano a più riprese sia il suo Cinema che quello dei suoi colleghi e mentori più cari. Il bambino David è l'elemento disturbante che metterà in crisi il gruppo razzialmente perfetto dei piccoli alieni (da notare che in tutto il film non si menziona la parola "alieno"). Dal loro punto di vista omologato David è l'anello debole, il reietto, il diverso: reietto=eroe. Quindi non è difficile avvisare in questa equazione tutta la passione politica del regista che innalza i diversi, gli additati dalla società bene, ad eroi, ad unici depositari di quello spunto capace di distruggere le barriere omologanti e di costruire un mondo più umano. La sfiducia nelle istituzioni e nell'ordine costituito si vedono benissimo anche nel climax di tale ferocia autodistruttiva: gli sceriffi che si sparano tra loro senza perchè. Siamo lontani dall'estetica peckinpahniana, ma la stilizzazione carpenteria della sparatoria dice molto circa il distacco sterile di noi "umani" di oggi davanti alla vera minaccia. Non qulla esterna teorizzata nella maggior parte dei film a stelle e strisce, ma quella interna, che si annida all'interno del concetto stesso di patria e ordine.
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