Regia di Lex Ortega vedi scheda film
Tassello di cinema estremo in arrivo dal Messico (ma coprodotto anche dal nostro Ruggero Deodato) che tenta - con un'ambientazione insostenibile - di raccontare altro. La violenza apparentemente gratuita, solo nel finale trova un suo perché.
In un incidente stradale provocato dall'abuso di alcol da parte di Goyo (Lex Ortega) e Dax (Julio Rivera) - due serial killer - una donna rimane gravemente ferita. Un comandante della polizia rinviene sull'auto una telecamera con un video raccapricciante, prova inconfutabile di un atroce delitto compiuto dai due assassini e decide di fare giustizia in maniera poco ortodossa.
Lex Ortega, anche interprete nel ruolo principale, non conosce mezze misure e va dritto al cuore (e alla genesi) della violenza, fisica ma anche e soprattutto psicologica. I mezzi a disposizione sono scarsi, così decide di realizzare riprese amatoriali e puntare al classico sottogenere del "found footage" (filmati ritrovati, deputati a raccontare la storia): un video conduce all'altro in questa infrangibile e insanguinata catena di morte. Atroz si apre con immagini - tratte da squallide borgate, sporchi quartieri ridotti in discariche, angoli di strada convertiti in dormitori - probabilmente reali, rubate tra i derelitti messicani: senza tetto, invalidi, prostitute e drogati. Inizio che ha un senso stretto con la storia e che, solo al termine, contribuisce a rendere chiaro come Ortega in realtà voglia trattare un tema serio, quello dell'estremismo di destra che spesso promuove un distorto e malato senso di "pulizia sociale", purtroppo presente anche in Messico dopo essere germogliato sul finire degli Anni '80 in Colombia (la Mano Negra).
Pur sguazzando nel disgustoso, messo in scena tra brutture insostenibili, con il preambolo degli emarginati e la drammatica constatazione che "il 98% degli omicidi in Messico sono irrisolti", Ortega mette in evidenza sin dalle prime immagini il tema alla base di Atroz. Film, beninteso, non per stomaci deboli - anzi cinema estremo, che mette in campo escrementi, sangue e cattiveria intollerabile - a causa di un insieme di riprese violentissime, ridotte ai minimi termini in fatto di qualità (e perciò più efficaci e disturbanti) che rendono verosimili i momenti sanguinari tipo il primo massacro, quello del travestito (scena durissima e da voltastomaco). La tecnica, per una produzione di questo tipo, c'è ed emerge in particolar modo nelle allucinanti soggettive realizzate con GoPro, che solo una mente malata (in senso buono) può concepire, ossia il punto di vista da un pugno che colpisce ripetutamente a morte in volto uno sventurato o quello di un dildo chiodato che penetra nel retto. Le motivazioni che inducono Goyo a praticare sesso malato (la stripteuse con mestruazioni) e violenza inarrestabile (gioisce nel giacere con corpi inanimati) sono obiettivamente forzate ma la presenza dei due "reazionari" genitori di Goyo contribuisce a rendere ancora più angosciante la visione, durante la quale non si riesce a empatizzare o immedesimarsi con nessuno dei personaggi che appaiono sullo schermo. Sui titoli di coda (ma anche sul manifesto) è sempre bello leggere il nome di Ruggero Deodato, qui coinvolto nel ruolo di produttore associato. Considerato che si tratta di un prodotto realizzato con un budget stimato di soli 7.000 dollari, le buone capacità di Ortega sono fuori discussione.
"Ho paura talvolta anche del mio sangue che pulsa nelle arterie come, nel silenzio della notte, un tonfo cupo di passi in stanze lontane." (Luigi Pirandello)
F.P. 22/01/2021 - Versione visionata in lingua spagnola (durata: 79'04")
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