Regia di Audrey Diwan vedi scheda film
"La scelta di Anne" sarebbe un film adatto ad una discussione adulta e appassionata sull'aborto, se non fosse che è stato distribuito molto poco, nonostante il Leone d'Oro, e sia stato visto ancora meno. Ho condiviso la sala con tre persone soltanto e non ho avuto difficoltà a rispettare le obsolete regole di distanziamento che non esistono più per le sale ma che potrebbero essere riesumate, per altro, a breve. Nonostante la triste assenza di pubblico per un film in prima visione nell'ora di punta del sabato sera ho avuto modo di scambiare due parole con una signora, mia conoscente, che mi ha lasciato con una frase che riassume perfettamente il film della regista francese Audrey Diwan. "Di film sull'aborto ce ne sono stati ancora, ma si sono limitati a girarci intorno. Qui, invece, si va dritti al punto e non viene risparmiato nulla". La signora, un insegnante, sposata con figli, sintetizzava il suo giudizio parlando di un "pugno nello stomaco". Un film "importante" e "duro". Posso solo concordare con queste parole che hanno dato vita al quel minimo "dibattito" fuori sala a cui persino la CEI si riferisce nel valutare questo film dal punto di vista pastorale. Scrivono nel loro sito, per l'appunto, "complesso, problematico, adatto per dibattiti". Senza entrare in questioni religiose o moral mi limito a condividere con la Commissione Nazionale Valutazione Film e con l'insegnante in questione la necessità di apertura e dialogo su questo come su altri importanti argomenti su cui il nostro paese sembra arenato in sterili e faziose contrapposizioni. Dal punto di vista artistico, a contrario, è mio dovere, o forse dovrei dire mio piacere, riportare il giudizio su una storia che la regista parigina sa maneggiare con cura, senza isterismi, senza manifesti e senza farsi sopraffare dal contenuto altamente drammatico.
La storia di Anne è quella di una ragazza nella Francia del 1963 che non ammette l'aborto come pratica legale. Rimasta incinta, e cosciente di non poter continuare gli studi universitari portando in grembo il frutto di una notte, Anne decide di abortire. Diwan accompagna la protagonista, la bravissima Anamaria Vartolomei, nel calvario personale che la conduce all'interruzione di gravidanza. Nel farlo le appiccica la macchina da presa sul corpo riducendo altresì la profondità di campo e adottando, infine, un formato a metà strada tra il cinematografico e il televisivo. Scelte che reputo appropriate in quanto concentrano l'attenzione su Anne lasciando fuori il mondo che la circonda poiché ignaro del suo dramma o incapace di farsene carico. Il passare delle settimane è un conto alla rovescia ed ha i connotati di uno studio scientifico ripreso con intenti documentaristici. L'analisi del corpo femminile nei minimi dettagli, ovvero quel "nulla di risparmiato" accennato dalla spettatrice ha una valenza simbolica straordinaria che si può compiere esclusivamente con una donna alla regia. L'insistenza della mdp sul sesso della protagonista e sulle pratiche dolorose a cui viene sottoposto non ha l'unico scopo di sconvolgere l'animo davanti alla ferocia degli strumenti. In quelle scene drammatiche in cui Diwan si sofferma a lungo su specchi, siringhe, ferri da calza, sondini e divaricatori c'è la volontà di riappropriarsi del corpo femminile, ostaggio nelle mani dei maschi, e di mostrarlo per ciò che è. Non siamo di fronte al tempio casto e immacolato a cui l'uomo relega la donna che innalza a verginale strumento di incubazione della vita, e non siamo neanche di fronte, per estremo opposto, all'oggetto del desidederio carnale che trasforma la donna in prostituta. Il corpo della donna è delle donne e non appartiene agli uomini che della donna ne fanno una vergine oppure una puttana a seconda dei comodi tralasciando ciò che sta in mezzo. Il corpo di Anne è solo un corpo, un agglomerato di organi, pelle, peli, natiche, seni. Appartiene ad Anne, e a lei sola, e non è oggetto di devianza alcuna o morboso desiderio. È un corpo che ama, soffre e cerca il piacere se qualcuno è in grado di offrirglielo. Tanto meno deve suscitare imbarazzo per le sue forme spesso associate, in una società bieca e maschilista, al peccato e all'immoralità. Di fronte a questa interpretazione, che le immagini nitide, feroci e naturali del direttore della fotografia Laurent Tangy, propongono, nelle luci affievolite e intime del dormitorio, le dichiarazioni sollevate dalla regista rispecchiano il contenuto artistico di quanto ripreso. "L'evenement non è un film che parla solo di aborto ma anche della libertà della donna". Libertà dal giudizio dell'uomo, direi io, molto più che libertà di decisione, anche se le due cose si sovrappongono indissolubilmente. Di uomini che giudicano e decidono al posto delle donne, spesso lasciate sole ad affrontare una gravidanza indesiderata, e che mercificano il corpo femminile, ne abbiamo molteplici esempi nel corso della narrazione. Si va dal medico che somministra un farmaco con l'inganno alla paziente, al compagno di corso che vuole approfittare della condizione di Anne per una sveltina fino alla noncuranza del fidanzato menefreghista. Che la donna debba sempre e comunque sottostare alla legge dell'uomo ce lo dice anche la penultima sequenza con la povera Anne che cede stremata dopo aver sentito la sentenza del medico che risponde alle sollecitazioni dell'infermiera dichiarando l'aborto spontaneo. Una sentenza magnanima che consente alla giovane studentessa di tornare agli studi e di realizzare, forse, i propri sogni. Di fronte all'avvenimento (L'événement del titolo originale per l'appunto) e ai risvolti personali e sociali che questo implica per la protagonista nella Francia del '63 (ma che potrebbe essere benissimo quella di oggi o gli Stati conservatori del Texas e del Mississippi) non resta che accostarsi in punta di piedi con tutta l'empatia di cui un essere umano è capace. Il genere maschile dovrebbe, inoltre, ripetere come un mantra la constatazione medica "aborto spontaneo", formula, quanto mai necessaria, di assoluzione dalle colpe che spesso gli competono.
Apollo Cinepark - Ferrara
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