Regia di Audrey Diwan vedi scheda film
La verità sull'aborto, ieri quasi come oggi
L'evénément è un film del 2021 diretto da Audrey Diwan, adattamento cinematografico del romanzo autobiografico di Annie Ernaux che ha vinto il Leone d'oro al miglior film alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
1963. Anne, venti anni, scopre di essere incinta. Scopre nel senso che il medico che la visita per certi suoi dolori al basso ventre le comunica la triste verità.
Degli uomini che Anne incontra lungo il suo calvario di dodici settimane quel medico non è il peggiore, anzi si dimostra sinceramente dispiaciuto, ma non può far nulla, c’è il carcere in Francia (e ovunque) per procurato aborto in quegli anni. Sempre che Anne voglia abortire, su questo la ragazza tace, ma basta vedere il suo viso e soprattutto gli occhi.
Anne è disarmata, dalle sue risposte negative al medico che le chiede se ha avuto rapporti capiamo quanto sia indifesa e inconsapevole, nel dire di no c’è l’incapacità di scoprirsi, la vergogna, l’assenza di un’assunzione di responsabilità che sarebbe segno di consapevolezza di sé e indipendenza, cosa che in quei “favolosi” anni ’60 mancava del tutto e la colpa non è certo delle donne.
C’è però in Anne, fin dall’inizio, una forza che man mano si farà strada, sarà una descensio ad inferos di cui la regia non risparmia nulla allo spettatore, e se il tema è scottante, amaro, arduo da proporre, rappresentarlo come ha scelto di fare Audrey Diwan è il modo più duro mai visto prima.
E soprattutto perché riesce a non far sembrare la distanza da quell’anno così forte, oggi che accadono cose che rimbalzano sulla stampa, dal Texas alla Polonia, che riportano indietro le lancette di vari decenni, e la sofferta 194 non ha e non ha mai avuto la vita facile che sarebbe stato giusto aspettarsi dal lontano 1978, quando divenne legge dello Stato.
In Appendice qualche aggiornamento utile da leggere.
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Ma tornando al film, diciamo pure che Anne è ancora tutte noi, oggi come allora, forse oggi con una migliore coscienza dei nostri diritti ma anche con la rabbia di vederli spesso calpestati.
Dunque Anne è soprattutto una ragazza sola, di bassa estrazione sociale, una famiglia, padre e madre, con cui non comunica, pochi soldi, priva delle ipocrisie perbeniste delle compagne d’università borghesi che la trattano da puttana perché le piace uscire la sera e passare qualche ora al pub.
E quel che più conta Anne ha una bella testa e primeggia in aula.
Il suo sogno è diventare scrittrice, ma ora un figlio significherebbe piombare nella condizione di casalinga, marito o no, quello sarebbe il suo destino, magari con un lavoro di insegnante a cui non aspira.
Detestabile? Giudizio fin troppo facile e di certo ancora diffuso.
Dimenticando una cosa fondamentale, il diritto di scegliere cosa fare del proprio corpo e della propria vita.
“Volevo raccontare il senso di libertà di questo personaggio trasversale. Anne è una ragazza che si riappropria del proprio corpo. Ho voluto seguire il mio personaggio nella sua evoluzione e condividere le sensazioni che si provano vivendo questa clandestinità”.
Così parla la regista che aggiunge: “Quando ho deciso di realizzare l’adattamento del romanzo di Ernaux, ho cercato di catturare la natura fisica dell’esperienza, tenendo conto della dimensione corporea del percorso. La mia speranza è che questo trascenda il contesto temporale della storia e le barriere di genere. Il destino delle giovani che hanno dovuto ricorrere a questo tipo di operazioni è rischioso e insopportabile. Tutto quello che ho fatto è stato cercare la semplicità dei gesti, l’essenza che potesse veicolarlo”.
L’essenza, la semplicità dei gesti è la credenziale forte del film, libero da enfasi, retorica, trasalimenti.
Il formato quattro terzi della messa in scena chiude in una cornice soggettiva la protagonista, Annamaria Vartolomei, ne sottolinea la solitudine e ne esalta la forza, costringe il pubblico ad una immedesimazione che non è empatia, commozione, no, è andare con Anne sulla sua stessa strada, capirne il dolore, la frustrazione, lo smarrimento e la rivalsa.
A quel punto si riesce a non chiudere gli occhi, la corporeità della vicenda è il suo primo piano, non si parla di aborto, è aborto.
Poi arriveranno nella post-visione tutti i ragionamenti su questa vecchia storia femminile mai risolta come dovrebbe, sul contesto e sul dissesto, su tabù, ipocrisie e patriarcato.
Se qualcuno ha ancora voglia di discettare sull’argomento.
Difficile, dopo i 100 minuti del film si esce in silenzio, sapendo che quel calvario della donna non lo racconta mai nessuno come va raccontato.
Anne, col suo visetto tondo, i suoi occhi seri, la sua determinazione ad essere al mondo dalla parte che vuole solo lei l’ha raccontato.
Giusto così.
APPENDICE
Qualche scarna notizia sullo stato dell’arte, in rete per approfondimenti.
Legge 22 maggio 1978 n. 194
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 22 maggio 1978)
NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITA' E SULL'INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA
GRAVIDANZA
La Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
Il Presidente della Repubblica
Promulga la seguente legge:
Articolo 1
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della
maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle
nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.
Commento diAnna Pompili
Ginecologa di AMICA (Associazione medici italiani contraccezione e aborto)-Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=95625
“… E’ tutto l’impianto ideologico, ben espresso dall’articolo 1 della 194, che non è più accettabile. Non è più accettabile una legge che, scritta con il presupposto di una cittadinanza di serie B per le donne, non riconosce loro alcun diritto all’autodeterminazione…”
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RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA SALUTE
SULLA ATTUAZIONE DELLA LEGGE CONTENENTE
NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITÀ
E PER L’INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA
“L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività
specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento” (art. 9 della Legge 194).
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Il punto sull’obiezione di coscienza (da aggiornamenti in rete)
Il numero di obiettori di coscienza all'interno del personale medico italiano è in media del 70%. (In Gran Bretagna è del 10%, in Francia del 7%, zero in Svezia.
Il totale degli obiettori è aumentato del 12% negli ultimi dieci anni, arrivando a punte di oltre il 90% in Molise, Trentino-Alto Adige e Basilicata.
In tutto il Molise si registra un solo medico non obiettore.
La media di obiettori tra gli anestesisti in Italia è del 49%. Per sopperire alla mancanza di medici in grado di eseguire interruzioni volontarie di gravidanza, gli ospedali ricorrono a medici esterni assunti a prestazione, con costi addizionali per il servizio sanitario e la collettività.
L’aborto al tempo del Covid
Italia: Covid-19 aggrava gli ostacoli all'aborto legale
(Londra) – L'inerzia del governo ha lasciato donne e ragazze di fronte ad ostacoli evitabili nell'accesso all’aborto in Italia durante la pandemia Covid-19, mettendo a rischio la loro salute e la loro vita, ha dichiarato oggi Human Rights Watch.
Il fallimento del governo nell'assicurare un percorso chiaro a cure essenziali e urgenti nel corso della pandemia ha causato interruzioni dei servizi per l’aborto e ha impedito ad alcune donne di accedervi nei tempi previsti dalla legge, aggravando ostacoli di lunga data per un aborto sicuro e legale in Italia.
“Donne e ragazze in Italia si sono ritrovate di fronte a ostacoli talvolta insormontabili per ottenere cure sanitarie sessuali e riproduttive di cui avevano bisogno in un momento di crisi,” ha detto Hillary Margolis, ricercatrice esperta sui diritti delle donne a Human Rights Watch. “La pandemia di Covid-19 non ha fatto altro che evidenziare il labirintico sistema italiano per accedere all'aborto e dimostrare come le restrizioni obsolete del Paese causino danni invece di garantire protezione”.
L'aborto in Italia è legale durante i primi novanta giorni di gravidanza per ragioni di salute, economiche, sociali o personali. Tuttavia, tra requisiti gravosi e l'uso diffuso dell'“obiezione di coscienza” da parte del personale medico per negare le cure, donne e ragazze si ritrovano ad affannarsi per trovare servizi medici entro i tempi previsti dalla legge, spesso dovendo effettuare visite in molteplici strutture, in Italia o all'estero – spostamenti impediti dai divieti di viaggio locali e internazionali per evitare la diffusione di Covid-19. Alcune strutture hanno sospeso i servizi sanitari per l’aborto durante la pandemia, o riassegnato personale ginecologico ai reparti dedicati al Covid-19.
Il governo italiano non ha considerato immediatamente l'aborto un servizio sanitario essenziale durante la pandemia. Il Ministero della Salute ha chiarito il 30 marzo che i servizi relativi all'interruzione di gravidanza sono indifferibili, ma ospedali e cliniche non hanno sempre seguito questa indicazione. Delle esperte hanno detto a Human Rights Watch che una mancanza di informazioni sui servizi disponibili durante la crisi Covid-19 ha ulteriormente inasprito l'accesso.
Diversamente da altri governi europei, le autorità italiane non hanno adottato misure per facilitare l'accesso all’aborto farmacologico durante la pandemia. L'aborto farmacologico è un modo sicuro ed efficace per interrompere una gravidanza usando medicinali anziché metodi chirurgici più invasivi. L'Oms raccomanda la somministrazione di mifeprostone seguita da misoprostolo per l'aborto farmacologico, che, afferma, puo’ essere tranquillamente autogestita dalle donne fino alla dodicesima settimana di gravidanza, quando sono disponibili informazioni dettagliate e il sostegno di un medico.
Ma l'aborto farmacologico in Italia è legale solo fino alla settima settimana di gravidanza, —quando alcune persone potrebbero non sapere di essere incinte — e le linee guida nazionali richiedono che i farmaci siano somministrati nel corso di un ricovero di tre giorni. Mentre l'aborto chirurgico può effettuarsi in day hospital o in ambulatorio, solo 5 regioni su 20 in Italia permettono l'aborto farmacologico in regime ambulatoriale.
Le indicazioni dell'Italia sull'aborto farmacologico sono in contrasto con le raccomandazioni di salute pubblica volte a minimizzare le visite in ospedale durante la crisi Covid-19. Le persone intervistate hanno detto che alcune strutture hanno sospeso, durante la pandemia, i servizi sanitari relativi all'interruzione volontaria di gravidanza, specialmente l'aborto farmacologico, perché ritenevano che la necessità di molteplici visite o di ricovero fossero un rischio troppo grande o gravoso su strutture già sotto sforzo. Hanno anche detto che alcune donne avevano timore a recarsi negli ospedali per paura di contagio.
Anche le restrizioni agli spostamenti hanno inibito l'accesso all'aborto. Nelle aree dichiarate “zone rosse” nel corso dell'epidemia di Covid-19, le persone potevano muoversi da casa per emergenze sanitarie, ma dovevano fornire una giustificazione alle autorità se fermate e potevano essere multate in caso di violazioni. Alcune donne hanno detto
che la prospettiva di dichiarare alle autorità che stavano cercando di effettuare un aborto era di per sé un deterrente.
Il governo italiano dovrebbe assicurare che risposta alla pandemia Covid-19 e ad altre emergenze non costituisca un impedimento ingiustificato all'accesso all'aborto, ha detto, Human Rights Watch. Per assicurare cure sicure ed accessibili, il governo dovrebbe seguire i consigli medici come quelli contenuti nelle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), estendendo i tempi previsti per l'aborto farmacologico fino a dodici settimane ed eliminando il requisito del ricovero, fornendo invece una guida sull'autogestione dell'aborto farmacologico con consulenze di persona o con telemedicina.
Il governo dovrebbe anche rimuovere i requisiti gravosi e concentrarsi su altri ostacoli di lunga data per l’accesso all'aborto che indeboliscono i diritti riproduttivi. Ciò comprende l'eliminazione del periodo di attesa obbligatorio, e far sì che le regioni rispettino i propri obblighi così che l'obiezione di coscienza non impedisca l'accesso all’aborto. Il governo dovrebbe assicurare che l'obiezione di coscienza sia invocata solo da individui anziché da intere strutture, che e sia accompagnata da adeguati rinvii a servizi alternativi.
“La pandemia Covid-19 ha fatto luce su ciò che donne e ragazze in Italia sanno da molto tempo-- la legge dice che possono abortire in modo sicuro e legale, ma in realtà incontrano ostacoli ad ogni passo,
Ciò dovrebbe servire da campanello d'allarme che, crisi o meno, la protezione dei diritti riproduttivi non è opzionale.”
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