Regia di Arnaud Desplechin vedi scheda film
Desplechin è, fra i registi francesi contemporanei, quello che mi affascina maggiormente, poiché riconosco in lui, forse in maggiore misura rispetto ad altri, l’inconfondibile talento di un grande creatore di atmosfere inquietanti e spesso conturbanti, che riescono a coinvolgere gli spettatori per l’intero tempo del film.
In questo caso, la pellicola presenta un soggetto interessante: un romanzo di Philip Roth, il grande scrittore le cui opere letterarie hanno stimolato produttori, sceneggiatori e registi a realizzare trasposizioni cinematografiche - come era stato per Pastorale americana - senza grandi risultati.
Desplechin è probabilmente il regista che finora meglio ha fatto rivivere un’opera dello scrittore sullo schermo girando la storia – a quanto ha lasciato intendere, parzialmente autobiografica – di un tradimento coniugale, raccontata nel romanzo Inganno (1990), che Roth scrisse a Londra, dove si trovava dopo aver subito una condanna penale negli Stati Uniti per la presunta immoralità dei suoi scritti.
Di questa vicenda è protagonista una coppia di amanti: Phil (Denis Podalydès), scrittore e una signora inglese (Léa Seydoux), che lo ama con trasporto e senza sensi di colpa. La coppia si incontra nei due anni della loro relazione con regolarità nello studio di lui: entrambi attendono con ansia ed eccitazione appassionata ogni incontro, dal quale Phil intende trarre gli elementi costitutivi del nuovo romanzo.
Alter ego dello scrittore, perciò, egli trascrive sul proprio taccuino sensazioni, stati d’animo e oggetti che del trasporto amoroso portano il segno, dando vita, dunque, all'opera, il cui titolo – in inglese molto più significativo – è Deception, che non solo indica il tradimento coniugale, ma anche la situazione illusoria che può sembrare ai lettori meno avvertiti una tranche de vie, specchio della realtà, anziché finzione, che si sottrae, perciò stesso, a giudizi morali sull’autore.
La sensualissima passione degli amanti si traduce, infatti, sùbito in parola e immediatamente nella scrittura appassionata che i lettori di Roth ben conoscono.
Allo stesso modo, perdono consistenza realistica, per diventare lontani fantasmi - talvolta ossessivi per lo scrittore - altre presenze, non solo femminili, evocate attraverso percorsi della memoria che riconducono alle vere e reali ossessioni di Phil: la morte, l’antisemitismo, l’inquieta ricerca di senso, presenza continua nei romanzi di Roth, e, come in un riflesso speculare, nei film di Desplechin.
Come altri film del regista, anche questo è costruito come un’opera teatrale, sul cui proscenio si muovono, raramente incontrandosi, i personaggi alle prese col loro destino, colle loro follie o con le gelosie retrospettive e un po’ ridicole: mogli e mariti, incapaci di cogliere la finzione e la commedia umana contenuti nel taccuino capitato nelle loro mani, meditano separazioni crudeli e sanguinarie vendette…
Raffinata realizzazione, il film è un'opera difficilmente dimenticabile anche per la straordinaria interpretazione dei due protagonisti e degli altri personaggi, di cui ricordo, in modo particolare, una grandissima Emmanuelle Devos, Rebecca Marder, Madalina Constantin e Anouk Grinberg nei panni della moglie delusa e un po' meschina di Phil.
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Bella recensione. Tra l'altro, i commenti negativi (e i voti bassi) si sprecano, perciò tanto più ben accetta perché toglie molti dubbi a chi guarda. Il fatto è che (indipendentemente da Desplechin, odiatissimo e ritenuto sopravvalutato dai più) Philip Roth è autore difficile. Non è semplice ricreare con le immagini l'atmosfera che contribuisce a rendere le sue pagine affascinanti nonostante l'eccesso di verbosità. O lo si ama o lo si odia, è vero ma il punto è che l'intera opera dell'autore di "Pastorale americana" è un unico flusso di storie ininterrotte. In sostanza, per farne un film (mia personale convinzione) che resti aderente al suo pensiero, occorre leggere tutti i libri e farne una summa...Grazie per la rece, Lilli. Mauriz
Grazie a te, Maurizio. Sono d'accordo con te: Philip Roth non è un autore facile: bisogna averlo letto per comprenderne le ossessioni; per capirne l'ininterrotta ricerca di senso, le inquietudini, le sofferenze e le contraddizioni. Autore che ho sempre molto amato, così come Desplechin, unico regista - per ora - all'altezza dell'arduo lavoro di trasporre per il cinema le sue emozioni filtrate da un ebraismo critico e per molti aspetti oscuro...
Buona domenica. Lilli
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