Regia di François Ozon vedi scheda film
A seguito di un ictus, l’ottantacinquenne André (il solito, gigantesco Dussollier) vuole farla finita. Così, con i suoi modi abitudinariamente autoritari e capricciosi, chiede a una delle sue due figlie (Marceau) di assicurargli una fine dignitosa in una clinica svizzera. Pur riluttante, la donna troverà non pochi ostacoli per poter realizzare il desiderio paterno.
Tratto dall'omonimo libro autobiografico di Emmanuèle Bernheim (che per Ozon aveva già sceneggiato Sotto la sabbia, Swimming Pool e Cinqueperdue), il film non mira – come potrebbe sembrare – a una riflessione sull’eutanasia. Non apre al dibattito, non filosofeggia, non ricatta lo spettatore con discorsi moralistici, non si schiera, senza per questo fare del cerchiobottismo della sua materia prima. Semplicemente, è un film che punta tutto sull’essenzialità: degli stati d’animo, dei desideri, delle relazioni. E lo fa persino nello stile, con molti primi piani e luce naturale, nel titolo, così assertivo, o nella risposta che l’anziana moglie del protagonista (Rampling), separata da tempo da un marito fedifrago e omosessuale, dà alla domanda della figlia: “perché non lo hai lasciato, dopo tutto quello che ti ha fatto passare?”. “Semplice: perché lo amavo, stupidina”.
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