Regia di François Ozon vedi scheda film
Film liberamente tratto dal romanzo omonimo di Emmanuèle Bernheim, sceneggiatrice di fama e scrittrice morta qualche anno fa.
Sophie Marceau e Géraldine Pailha, le figlie, Charlotte Rampling, la moglie e Hanna Schygulla, l’ex magistrato in pensione ora dedita all’accoglienza nella clinica Svizzera dove si pratica la dolce morte per super ricchi.
Un mondo di donne intorno a lui, l’85enne Andrè Dussolier, padre colpito da ictus e reso paralitico, ex viveur, omosessuale non dichiarato ma praticante, anaffettivo quanto basta e seducente fino alla fine, miracolosamente scampato al desiderio delle figlie di ucciderlo.
Uccidere il padre, d’altro canto, è un topos mitologico dei più accreditati da Edipo in giù, e anzi fa crescere e diventare migliori, come il famoso “mangiare Dio” predicato da anni da Ian Kott.
Dunque è così, un ictus rende inservibile tanta vita ben trascorsa tra piaceri, molti, e doveri, pochi.
A dispetto di tutto, questo padre è amato, dalla moglie, scultrice depressa che, alla domanda della figlia: “Perché non l’hai lasciato, con tutto quello che ti ha fatto?”, risponde, con piglio depresso: “ Lo amavo”.
E’ amato dalle figlie, un po’ meno da Pascale tenuta in secondo piano ma soprattutto da Emanuèle, la sua cocca, quella bella (“ma da bambina eri proprio brutta”, le dice gentilmente dal letto d’ospedale).
E’ amato dal “pezzo di merda”, come lo chiamano le figlie, il suo boy friend semi clandestino dall’aspetto di scaricatore di porto, che fa carte false per incontrarlo fino alla vigilia della partenza per Berna. In cambio riceve il suo patek philippe che vale una fortuna.
Questo padre ha chiesto alle figlie di aiutarlo a morire.
Questo lo scenario di ordinaria follia all’interno di una famiglia media nella Francia del XXI secolo.
Buona borghesia, ottimi studi, la musica innanzitutto (Brahms e Schubert con un tocco di Beethoven vanno e vengono e rendono l’aria respirabile), il nipotino suona il flauto e il nonno sposta la data della morte per assistere al concerto, nulla manca, e se il beverone svizzero costa 10.000 euro più il viaggio poco male, se uno è povero cosa fa? Aspetta di morire, ovvio.
La polizia è allertata da denuncia di sospetto aiuto al suicidio? Si dribbla, un po’ di fiatone, qualche corsa in taxi, un avvocato di grido che dà il consiglio giusto evvai, la Svizzera è vicina.
Alt, si mette in mezzo il musulmano di turno, uno dei due autisti dell’autoambulanza.
Appena sa che il vecchio va a morire “Stop, il viaggio finisce qui, Allah non vuole”.
Per fortuna c’è l’altro, un nero (il primo era bianco) che si dichiara musulmano “ un po’ “. E il carico arriva a destinazione.
Ozon è un mago nel rendere tragedia, thriller e melodramma sentimentale storia di tutti i giorni, nel tenere ben regolato il calore della fiamma e il volume del suono.
Quello che accade sulla scena è quello che si vede, tutto il resto è sottocoperta e lì rimane.
Vivere e poi morire, se si può farlo bene tanto meglio.
Dire “E’ andato tutto bene” a cosa fatte ha un senso, dire “Andrà tutto bene” come da due anni urla la massa, non ce l’ha.
La tematica spinosa, la dolce morte, il suicidio assistito, è abilmente privata di molte spine e si evita altrettanto abilmente di farne un caso politico, tanto meno esistenziale.
Resta il dolore, è chiaro, la perdita è sempre una perdita, ma una non vita è forse preferibile? E se ci si può concedere una morte dignitosa perché no? Almeno sperando che prima o poi possano farlo tutti, non solo i ricchi.
La vicenda a cui Ozon si è ispirato è autobiografica,e il film èliberamente tratto dal romanzo omonimo di Emmanuèle Bernheim, sceneggiatrice di fama e scrittrice morta qualche anno fa.
Ozon aderisce fedelmente alla storia e le dà il marchio del suo stile: necessario distacco e abile tocco di umorismo che la vita non risparmia mai, anche nelle situazioni più estreme; la lacrimuccia c’è, ovviamente, non ti muore un padre tutti i giorni, ma grande rispetto per la libertà altrui e sguardo serio e realistico sulla vita.
E allora sì che va tutto bene.
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