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Hive

Regia di Blerta Basholli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hive

di maurizio73
7 stelle

Pur senza abbandonare un registro di assoluta fedeltà sociologica ed una asciuttezza di linguaggio che continua a sorprendere per un lavoro d'esordio, l'autrice ci mostra lo spiraglio di una credibile soluzione ad una situazione di stallo, la naturale evoluzione di uno stato di crisi sempre foriera di nuove opportunità di cambiamento e di riscatto.

Nella straziante attesa di un marito scomparso durante le epurazioni serbe nel Kosovo, Fahrije provvede ai due figli ed al suocero grazie ad una modesta attività di apicoltura. L'intraprendenza della donna nell'avviare una nuova impresa commerciale con l'aiuto di altre vedove in pectore come lei, segnerà la frattura con una società patriarcale arcaica e repressiva. 

 

locandina

Hive (2021): locandina

 

La dolce guerra di Fahrije 

 

Come per la la Elite Zexer di Sand Storm, anche l'esordio di Blerta Basholli nel lungo si snoda lungo il faticoso percorso di una modernità sociale che arranca tra le strade polverose di un non luogo di frontiera, nella insostenibile tensione tra le pulsioni di una inevitabile indipenza femminile e la violenza di costrizioni patriarcali decise a disconoscere persino i vincoli del sangue e della famiglia pur di preservare il loro millenario primato sul corpo della donna. Un cinema indipendente che ritrova nella sensibilità di giovani registe con una solida formazione alle spalle (Tel Aviv, New York), la capacità e il coraggio di affrontare i nodi irrisolti e le stranianti contraddizioni dei rispettivi luoghi d'origine. Se il film della Zexer tuttavia segue il volo pindarico di una volitiva studentessa costretta, nella lotta senza speranza contro l'amato e dispotico genitore, a rintrare nei ranghi e coi piedi ben piantati per terra di un matrimonio combinato, la Basholli ci insegna che quei vincoli continuano ed anzi si rafforzano anche in assenza di una popolazione maschile sterminata dalla furia del genocidio razziale, nel tragico paradosso della scomparsa di uomini inghiottiti nel nulla delle fosse comuni che hanno, loro malgrado, abbandonato le donne all'indigenza ed alle costrizioni patriarcali che ne limitano libertà d'azione individuale e sussistenza familiare; vite sospese alla sparizione di corpi che le tengono avvinte ad un giogo sociale di sofferenze e doveri familiari che non possono soddisfare. Una cultura chiusa in se stessa e radicata nelle sue retrive convizioni che resistono persino nelle nuove generazioni e dove la classe più avanzata e progressista è giocoforza quella di un giovane vedovato che si assume l'onere e il disonore di screditarne le convenzioni e modernizzarne le posizioni, per un bene comune invocato nelle piazze ma disatteso in privato. La patente (come nel film arabo), il sasso sul finestrino, il boicottaggio dell'ajvar, gli insulti per strada, la vigliaccheria e l'ipocrisia dell'imperio maschilista nell'invito per un caffè che prelude allo stupro: in gioco non c'è solo una legittima attività imprenditoriale ma l'attentato ad una stabilità sociale che vede fortemente compromessa la propria tradizione secolare. Pur senza abbandonare un registro di assoluta fedeltà sociologica ed una asciuttezza di linguaggio che continua a sorprendere per un lavoro d'esordio, l'autrice ci mostra lo spiraglio di una credibile soluzione ad una situazione di stallo, la naturale evoluzione di uno stato di crisi sempre foriera di nuove opportunità di cambiamento e di riscatto, laddove la resistenza sociale al cambiamento e la resilienza individuale alla sua ostilità si fronteggiano in un gioco di faticosi equilibri che spostano lentamente l'inerzia della condizione femminile verso posizioni di inevitabile indipendenza ed emancipazione. L'assenza divide, l'assenza riconcilia; posizioni contrapposte ma anche il ragionevole rappacificarsi di relazioni familiari in cui gli angoli si smussano ed i problemi si risolvo, in un gioco di compensazioni che addolciscono gli animi ed allentano le tensioni: il DNA che dà la certezza, la cornice della foto del padre, la sega circolare, le tenerezze filiali. Il faticoso scioglimento di tensioni sociali altrimenti destinate ad una tragica escalation di violenza trova la sua brava conclusione nella metafora di operose api operaie: la cooperazione di un matriarcato in gramaglie che riconciliano lavoro e affetti nel più classico dei rituali familiari; la produzione di coserve che preservano il gusto della tradizione in un colorato barattolo di modernità.
Primo film a vincere tutte e tre le principali categorie (Premio della Giuria, Premio del Pubblico, Miglior Regista) al Sundance Film Festival nella sezione World Cinema - Dramatic e presentazione ufficiale del Kosovo per la categoria "Miglior lungometraggio internazionale" della 94a edizione degli Academy Awards nel 2022.

 

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