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Metropolis

Regia di Fritz Lang vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Metropolis

di Genga009
10 stelle

“due film uniti per il ventre (…) ci siamo sorbiti una serie di personaggi devastati da passioni arbitrarie e volgari” cit. Luis Buñuel

Metropolis è un film muto diretto nel 1927 da Fritz Lang e scritto da sua moglie Thea Von Harbou. Considerato dalla critica cinematografica come l’assoluto capolavoro del regista, questo lungometraggio, col passare degli anni, è divenuto uno dei più importanti punti di riferimento del cinema di fantascienza, sia dal punto di vista tecnico degli effetti speciali che dal punto di vista concettuale: ambientazioni futuristiche solitamente distopiche o post-apocalittiche, critiche confronto la società e la politica, messaggi d’avvertimento verso il progresso e la scienza. Questa pellicola appartiene al movimento d’Avanguardia dell’Espressionismo, corrente artistica a cui molti registi, oltre che pittori, hanno aderito tra il 1905 ed il 1925 in area tedesca e austriaca. La sua produzione è avvenuta durante gli anni precedenti la presa al potere di Hitler in Germania, il quale ha sempre reputato Metropolis uno dei suoi film preferiti, e la sua conservazione, come quella di molte altre pellicole europee realizzate precedentemente al 1945, è stata compromessa dai bombardamenti avvenuti nella Seconda Guerra mondiale. Dopo la fine della guerra, solamente tre quarti dell’opera è stata recuperata. Il 95% della versione originale del film, della durata di più di due ore, è stata ritrovata solamente nel 2008 a Buenos Aires da un collezionista privato. Tante sono le opere che si sono ispirate a questa e che, in un modo o nell’altro, hanno permesso al genere fantascientifico di evolversi e progredire durante il Novecento. Dalla città protetta da Superman, appunto Metropolis, a film diventati negli anni dei veri e propri cult come Blade Runner, Terminator, Guerre Stellari, RoboCop e Matrix. Si può affermare con certezza, quindi, che questo lungometraggio abbia determinato i canoni e le caratteristiche proprie della fantascienza contemporanea andando oltre il genere cinematografico. Con fantascienza contemporanea si definisce la categoria scientifica dei romanzi, e non solo, sviluppatasi successivamente alla fantascienza moderna di Jules Verne e H. G. Welles.

Ho scelto un’opera cinematografica come argomento da portare all’esame orale di maturità. Questo perché da anni il cinema costituisce una delle mie più grandi passioni. Trovo che siano molti i film di notevole livello, come Metropolis ad esempio, capaci di sviluppare tematiche importanti e complesse attraverso l’arte dell’immagine in movimento. Nelle prossime pagine esporrò, infatti, quelle che questo lungometraggio comunica, analizzandole ed approfondendole secondo un ordine contenutistico.

 

 

locandina italiana 2015

Metropolis (1927): locandina italiana 2015

 

 

Nel 2026, Metropolis è il prototipo di città produttiva ideale futura, ideato da Fritz Lang e dalla moglie Thea Von Harbou e volto a descrivere l’estremizzazione del sistema economico-sociale del capitalismo. Nell’enorme complesso di strade sopraelevate, luci e palazzi avveniristici si estende la parte ricca e progredita della città, dove al centro si erge la “nuova torre di Babele”: un gigantesco grattacielo che rappresenta l’apice dello sviluppo tecnologico umano e dove risiede Johann Fredersen, costruttore ed unico signore indiscusso di Metropolis. Al di sotto di tanta prosperità e benessere si trova la città sotterranea, dove gli operai lavorano a ritmi e turni disumani per produrre l’energia adeguata al funzionamento della nuova torre di Babele.

La storia comincia con l’incontro casuale di Freder Fredersen, figlio di Johann, con Maria, una ragazza che accompagna dei bambini dal sottosuolo ad una zona esterna chiamata “il giardino dei principi”. Rimasto colpito sia dalle condizioni misere dei ragazzini che dalla bellezza di Maria, Freder si convince ad andare nei sotterranei per la prima volta. Qui egli viene a contatto con la realtà brutale che per tutta la vita aveva ignorato. Assiste ad un incidente sul lavoro dove perdono la vita diversi operai, così decide di scambiare la sua divisa con quella di un manovale. Alla fine del suo turno segue un gruppo di uomini che entrano in delle catacombe, i cunicoli e le caverne più profonde e segrete della città. Freder incontra finalmente Maria, la quale tutte le notti raduna nelle grotte gli operai ispirando loro fede in una sorta di moralità cristiana. Nel frattempo Fredersen padre si reca dal Dottor Rotwag per una questione di primaria importanza: venuto a sapere dell’esistenza di una ribelle dai pericolosi ideali, Johann ordina allo scienziato di ultimare una sua recente invenzione, un robot capace di intendere e di volere, rapire Maria e sdoppiarla al suo interno affinché ne abbia il suo aspetto (scena che riprende la creazione della creatura in “Frankenstein o il moderno Prometeo” di Mary Shelley, 1818). Freder sorprende il padre con il doppio della ragazza e, inizialmente, cade in una profonda depressione. Nel frattempo, il robot aizza la rivolta operaia: i lavoratori sconvolgono la città sotterranea, distruggendo le macchine e provocando un’inondazione in tutta la parte interna di Metropolis. Freder, una volta riuscito a liberare Maria dal laboratorio di Rotwag, riesce a salvare diverse persone dall’inondazione tra cui i bambini, mentre gli operai, venuti a conoscenza delle vere sembianze del doppio diabolico, catturano il robot e lo mettono al rogo come se fosse una strega. Nel finale, Rotwag viene sconfitto e Freder si pone tra il padre ed i lavoratori, facendo loro stringere la mano e trovare un’alternativa ragionevole alla rivoluzione.

 

 

scena

Metropolis (1927): scena

 

 

Questa è in sintesi la trama di Metropolis. Da una sua prima lettura si possono intuire almeno due delle tante importanti simbologie che il film esprime: la lotta di classe e il tema del doppio. Non a caso queste due sono le argomentazioni più rilevanti dell’opera, essendo stata prodotta nel 1927. Seguendo un ragionamento storico-letterario ma anche filosofico, nella Germania di fine anni Venti queste erano le riflessioni intellettuali principali nei confronti della la società e dell’individuo. Si stavano attraversando anni di rivolte e scioperi e, per chi ancora vedeva la borsa di Wall Street come un punto di riferimento del modello economico capitalista, il comunismo affermatosi nel Impero Russo o Zarista (successivamente U.R.S.S.) nel 1919 incuteva un enorme timore. C’era il terrore che una rivoluzione potesse incombere da un momento all’altro in uno stato che, prima della presa al potere di Hitler nel 1933, era allo sbando e stava ancora pagando per gli esiti della Grande Guerra.

Metropolis affronta ciò che di negativo porta l’industrializzazione, ovvero le alienazioni del proletariato nei confronti di tutto ciò che ne caratterizza sia la professione, in quanto operaio, che la sfera sociale a cui appartiene (“Manoscritti economico-filosofici” Karl Marx 1844). Il film rappresenta una forma estrema del rapporto tra capitalista e proletario, messo in scena come una relazione tiranno-schiavo. Il parallelismo tra capitalista e tiranno nel lungometraggio viene esemplificato durante le messe di Maria, che narra della torre di Babele nell’antica Babilonia come se fosse il gigantesco grattacielo di Fredersen, degli operai come fossero schiavi e di una divina provvidenza che, al momento opportuno, libererà gli oppressi e farà crollare la torre, simbolo del regime. Alcuni elementi narrativi possono risultare, ai nostri occhi, come datati e troppo semplificativi, uno su tutti la frase d’inizio e conclusione dell’opera: “La mano e il cervello possono essere uniti soltanto dal cuore”. Tuttavia qui entrano in gioco ancora una volta gli scritti di Marx: nella sua concezione materialistica della storia, in cui descrive l’evoluzione dei legami tra la classe dirigente e quella operaia riferendosi, come primo modello, a quello delle tirannidi antiche e del sistema economico-sociale capitalista come modello moderno, ai tempi dell’intellettuale tedesco, e contemporaneo ai giorni nostri, due sono le possibili conseguenze finali dei conflitti tra le due classi sociali, ovvero l’implosione della società o una rivoluzione. Lang, però, non vuole inscenare nessuna delle due possibilità. Un’implosione della società avrebbe distrutto Metropolis, la Nuova Torre di Babele, le avanguardie tecnologiche, i palazzi futuristici. Le uniche macchine ad essere distrutte sono quelle della città sotterranea, strumenti che alienano i lavoratori, fatte a pezzi dalla rabbia e dall’euforia degli operai in una caotica visione luddista del sabotaggio della produzione industriale. La città esterna, la vera macchina diabolica, non viene toccata. Il regista, al posto di una rivoluzione, propone una terza scelta propositiva alle ostilità tra tecnologia e lavoro, tra capitalisti e proletariato: una riappacificazione tra Johann Fredersen e gli operai compiuta da Freder. Non sono chiari i risvolti del finale del film, con la stretta di mano, forzata dal figlio, tra il padre padrone e i lavoratori. Ciò che si deduce è che solamente le nuove generazioni, riferendosi alla prima metà del Novecento, possono cambiare le situazioni di scontri tra le due classi sociali, portando una sorta di armonia generale.

 

 

scena

Metropolis (1927): scena

 

 

Per mostrare in modo rilevante le forme di alienazione degli operai di Metropolis, Lang punta molto sulla loro distribuzione nelle riprese nei vari set cinematografici. Essa assume configurazioni che riflettono i comportamenti dei lavoratori e la loro funzione sociale e politica in tre momenti differenti della pellicola. All’inizio essi sono disposti secondo blocchi rettangolari e procedono lentamente, come fossero se veri e propri automi; durante la rivolta si muovono in maniera confusa e caotica, ad evidenziare la mancanza di uno scopo costruttivo della ribellione; infine, mentre marciano verso il punto d’incontro con Fredersen, si ordinano a cuneo, struttura geometrica definita e finalizzata ad operare, pronta a svolgere un ruolo socialmente attivo.

 

E’ interessante il fatto che il film, al suo debutto a Berlino, sia stato elogiato da molti futuri gerarchi nazisti, uno su tutti Hitler, e che altrettanti intellettuali socialisti, invece, lo abbiano sommerso di commenti negativi. Luis Buñuel lo definisce come “due film uniti per il ventre (…) ci siamo sorbiti una serie di personaggi devastati da passioni arbitrarie e volgari”. Di fatto l’opera si presenta ambigua nei confronti dei temi sociali che tratta, forse per la sceneggiatura un po’ disorganica di Lang e della moglie Thea Von Harbou, forse, invece, per andare incontro al pubblico, cercando una convenienza di tipo commerciale. In ogni caso, con trentacinquemila comparse, più di duemila costumi, seicento grattacieli di settanta piani realizzati in scala ridotta, cinque milioni di Reichmark spesi e solo settantacinquemila guadagnati nei pochi mesi di proiezione in sala, Metropolis rimane tutt’oggi uno dei più grandi fallimenti economici della storia del cinema. Sul piano tecnico, l’opera di Lang è, invece, una delle massime esperienze di messinscena che il cinema abbia mai potuto dimostrare, che valorizza tutte le potenzialità tecniche ed emotive della settima arte. Il regista si pone lo scopo di colpire lo spettatore tramite spazi ampi e spettacolari, rendendo impressionanti sia gli scenari che gli eventi che si svolgono al loro interno. La progettazione della città esterna è frutto del accostamento di varie Avanguardie artistiche di inizio Novecento: dall’architettura utopica del Futurismo a quella funzionale della scuola Bauhaus per quanto riguarda le scenografie più complesse e dall’Art Nouveau all’Espressionismo per quanto riguarda gli interni delle scenografie. L’idea della città in verticale deriva, in realtà, da una necessità tecnica della produzione, ovvero l’acquisto di particolari cineprese americane che Lang e lo staff dovettero fare a New York. Una volta prossimi al porto della “Grande Mela”, infatti, il regista rimase estasiato dalla veduta dello skyline di Manhattan, seppur ancora incompleto. Un’invenzione di Eugen Schüfftan, addetto principale agli effetti speciali, permette di curare nei dettagli la profondità di campo nelle scene dove imponenti strutture ed attori devono interagire. Si tratta di un sistema di specchi inclinati a quarantacinque gradi nel quale si proiettano fondali dipinti. Nelle parti dell’inquadratura non coperte dai fondali si possono, quindi, adoperare scenografie fisiche. Questa tecnica è usata, ad esempio, per creare la città dei lavoratori e la nuova torre di Babele. Un altro innovativo effetto speciale che viene introdotto, questa volta nell’editing della pellicola, è l’uso del “passo uno”, prima utilizzato solo in animazione. Si tratta semplicemente di creare una sequenza di fotogrammi tramite la sovrimpressione di singole immagini fotografate. In questo modo, nella scena elaborata definitivamente si possono avere accostamenti di più fotogrammi.

In Metropolis si delinea un mondo meccanico con una nuova forma espressiva, volto a criticare un sistema tanto complesso ed avanzato quanto oppressivo. La regia non è più solo uno strumento efficace per rappresentare una situazione, rendendola reale tramite la sua riproduzione, ma diviene un mezzo per contestualizzarla. Lang sviluppa le potenzialità comunicative della messinscena cinematografica, lavorando sulla composizione visiva e sui ritmi di azione. Tutta la varietà degli elementi presenti in un’inquadratura è costituita da strutture geometriche ricondotte ad un principio formale. Dove è possibile, inoltre, essa tende a ordinarsi secondo una configurazione simmetrica rispetto all’asse verticale centrale della macchina da presa. Probabilmente proprio per via di questa minuziosità nella costruzione estetica del film, il contenuto dello stesso viene alle volte lasciato in disparte o reso decisamente grottesco. Non a caso, secondo il critico cinematografico Morando Morandini “Metropolis è un capolavoro di cinema decorativo, la messinscena di un delirio”.

 

 

scena

Metropolis (1927): scena

 

 

Metropolis è considerata l’ultima grande opera cinematografica espressionista. I modelli rivoluzionari di rappresentazione della sua estetica, infatti, si distaccano nettamente dall’Espressionismo e sottolineano l’intenzione di Lang di inscrivere le idee direttamente nella composizione visiva. Le scelte registiche rispecchiano sia un’affermazione della centralità dell’allestimento scenografico e tecnico come processo figurativo primario, sia una volontà stilistica nella forma filmica estremamente rigorosa. Dal punto di vista concettuale, il lungometraggio tratta, invece, oltre alla questione politico-sociale della lotta di classe, temi esistenziali propri del movimento d’Avanguardia tedesco, privilegiando il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente. La tematica del doppio raffigurata da Maria ed il robot ne è un esempio peculiare, che si rifà ai concetti di “spirito dionisiaco” e “spirito apollineo” di Nietzche (“La nascita della Tragedia” Friedric Nietzche 1872). I due spiriti sono interpretati entrambi dall’attrice Brigitte Holm, il primo dal doppio demoniaco ed il secondo da Maria. Il dionisiaco (dal dio greco Dioniso dell’estasi e della liberazione dei sensi) rappresenta lo slancio vitale, l’affermazione della vita nella sua totale libertà, l’ebrezza spontanea dell’istinto umano. Infatti è il robot, prima freddo ed inespressivo, poi umano e privo di ogni vincolo morale, che aizza la rivolta, distrugge la città sotterranea, fa dimenticare agli operai gli insegnamenti religiosi e pacifici di Maria ed infine viene bruciato. L’Apollineo rappresenta la ragione, l’armonia della forma, l’equilibrio della realtà secondo ordinati schemi razionali. Il diavolo portatore del caos e del peccato viene annientato, mentre il giudizio trionfa portando l’insurrezione a terminarsi in un rassicurante patto tra le due classi sociali in opposizione. Il doppio diabolico di Maria ritrae anche la figura decadente della femme fatale, o donna fatale, un personaggio tipo molto diffuso nella letteratura europea di fine Ottocento ed inizio Novecento: donna disinvolta e ammaliatrice, carica di erotismo e malizia, che in genere nasconde desideri oscuri di sottomettere le personalità deboli ed arrendevoli che incrociano il suo cammino. Il primo esempio di femme fatale è “Fosca” di Igino Ugo Tarchetti, importante esponente della Scapigliatura italiana negli anni Sessanta dell’Ottocento, ma simili eroine si trovano nei romanzi di Gabriele D’Annunzio o si possono accostare al Dandismo francese di Charles Baudelaire, a quello di Oscar Wilde in “Salomè” e, per restare in tema, alla figura della dark lady in ambito cinematografico.

 

 

scena

Metropolis (1927): scena

 

 

Si conclude qui questo percorso attraverso Metropolis, capolavoro assoluto della settima arte e pietra miliare della fantascienza contemporanea. Ho voluto scegliere questo film in particolare visto le sue importanti simbologie di carattere filosofico. Inoltre, lo ritengo di abbastanza facile comprensione, quindi semplice nell’esposizione degli argomenti che tratta. La trama è lineare e si presenta già dalla copertina come un colossal. E’ un film d’impatto. Spero che la passione che sento di aver messo nello scrivere questa estremamente dettagliata recensione abbia incuriosito, stimolato anche coloro che non hanno il cinema tra i propri interessi personali. Non voglio prendere posizione riguardo la controversa questione sociale che apre l’opera alla sua conclusione poiché, seguendo un ragionamento del tutto personale, il fatto che finisca con una specie di “e vissero felici e contenti” mi sta anche bene. Sono dell’idea che tutto ciò che appartiene alla storia, che sia realtà o rappresentazione di essa non fa differenza, debba essere contestualizzato e, se possibile, giudicato nel periodo storico in cui è avvenuto. Quindi, se in Metropolis la rivolta operaia non è scoppiata in una rivoluzione è perché in Germania si aveva una paura matta che si potesse provocare una rivoluzione come in Russia. Parlo della classe dirigente, ovviamente. Sono sicuro che a Lang avrebbe fatto molto piacere un cambiamento, non per forza del genere, nel suo Paese, sebbene il suo film sia di chiaro stampo cristiano-conservatore, visto fino alla fine. Non a caso dopo i pochi mesi di proiezione se ne fuggì in America, elogiato da Hitler e i suoi come sano portatore del Volksgeist tedesco. Fece bene ad andarsene, anche perché una volta negli Stati Uniti poté produrre altri capolavori come “M, il mostro di Dusseldorf” e introdurre finalmente il sonoro nel cinema a livello commerciale. Un’altra, e questa è l’ultima, ragione per cui ho scelto un film da portare all’esame è perché, in generale, credo che oramai esista un lungometraggio per ogni argomento esistente, interessante o meno che sia. Quindi, anche se avessi scelto un tema specifico di qualsiasi genere, avrei sicuramente utilizzato un film come mezzo principale per esemplificarne i contenuti, questo perché un’immagine, o in questo caso una sequenza di immagini, sono sempre più chiare e dirette di un testo scritto. Io, almeno, ragiono così.

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