Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Il terzo film di Bellocchio è, come i precedenti Pugni in tasca e La Cina è vicina, un criptico apologo che sonda l'inquietudine moderna partendo dall'istituzione famigliare. Ma se nei primi due lavori era il concetto di fratellanza ad essere al centro della scena, qui il regista emiliano si sofferma sul rapporto padre-figlio e sulle implicazioni religiose che ad esso sono sottese. Il linguaggio (i dialoghi) e le situazioni alternano palese realismo e simbolismo più o meno fitto: fra i vari concetti trattati dal film sicuramente spiccano l'autorità, la ribellione, l'individualismo nella massa, l'ubbidienza e la fiducia, la repressione ed il controllo, in particolare nei sistemi gerarchici (come può essere il collegio e l'istruzione in sè, ma anche la Chiesa ed infine, daccapo, come è la famiglia, che sostanzialmente si perpetua grazie al rapporto diretto verticale padre-figlio). Il finale, con quel suo risoluto delirio di stampo fascista, lascia l'amaro in bocca e non poco: davvero non c'è via di uscita a questo sistema che schiaccia il ribelle alla prima sua fastidiosa manifestazione di insubordinazione? Buono il cast (Scarpa, Castel, la Betti, Beneyton nel ruolo del protagonista), musiche di Piovani vagamente morriconiane, sceneggiatura del regista (classe 1939) che si rifà non a caso agli anni della sua gioventù ambientando il film nel '58/'59. 7/10.
Il giovane indisciplinato Angelo Transeunti è rinchiuso in un collegio retto da religiosi; qui il ragazzo si scatena, ribellandosi all'autorità e fomentando l'avversione contro di essa nei suoi compagni di collegio.
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