Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Con "Nel nome del padre", Bellocchio prosegue con grande coerenza un suo discorso cinematografico cominciato con la critica graffiante dell'istituzione familiare in "I pugni in tasca" e poi in "La Cina è vicina", e concluso con l'ultimo capitolo di un'ideale tetralogia che è "Marcia trionfale", nel quale è messo sotto il microscopio dell'oncologo quel cancro che è l'istituto militare. "Nel nome del padre" colpisce, forse con qualche eccesso di grottesco, quel pilastro della nostra società che è stato per anni costituito dai collegi gestiti dalle congregazioni religiose cattoliche. Di questo, il regista aveva avuto diretta esperienza. Naturalmente, come ci viene mostrato nel prologo, tutto nasce da un contrasto e da un atto di ribellione verso l'autorità del padre (termine in questo film pregnante, potendosi identificare con il vecchio paterfamilias, con il padre, gesuita o salesiano che sia, che comanda il collegio, oppure, addirittura, con il Padre della sacra trinità), che porta il protagonista ad essere rinchiuso in un collegio tenuto dai preti, dove la notte si è rinchiusi nelle camere, ed anche per i bisogni bisogna arrangiarsi con il lavandino. Nel collegio stesso sono segregati, ed utilizzati come pura forza lavoro (allo stesso tempo schiavi e bestie) dei minus habens che i preti hanno raccolto tra gli strati più bassi della società: minorati mentali, pazzi, disadattati. In questo modo, nel collegio è riprodotto uno schema sociale che risale addirittura alle civiltà più antiche, come quella dell'antico Egitto - al vertice i sacerdoti, in mezzo gli intellettuali (scribi/studenti) e in fondo alla piramide gli schiavi -, che però, sembra dire Bellocchio, non è ancora del tutto superato. Servirà un gesto, da parte dello studente più intelligente e diabolico (una sorta di Faust dei nostri tempi), per risolvere il problema letteralmente alla radice. Per la ragazzina vestita da sposa che vede la Madonna sotto le fronde di un pero che fiorisce in inverno, anche lavorare in fabbrica costituirà una liberazione. Naturalmente Bellocchio, realizzando questo film, non ha potuto trascurare opere analoghe che l'hanno preceduto, a cominciare da "Zero in condotta" di Jean Vigo e "Se..." di Lindsay Anderson. Un film assolutamente da vedere e da non sminuire con tre sbrigative stelline.
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