Regia di Mark Robson vedi scheda film
Siamo nei primi anni '60. Gli Stati Uniti stavano per imboccare la strada kennedyana (che si sarebbe interrotta di lì a poco) dopo l' amministrazione Eisenhower e il conflitto coerano del decennio precedente che non aveva fatto altro che rinforzare l'attitudine interventsista nelle questioni belliche globali che gli USA avevano mostrato sin dallagrande guerra. In questo clima di cambiamento, verso una progressiva apertura (il più delle volte presunta, dimostrata solo a un livello teorico) al rovescio della medaglia rimasto in ombra sin dalla guerra di secessione (l'america dei niggers, il popolo di King etc etc) che con l'avvento di Kennedy sembre prendere forma in corpo sociale definito, pulsante e cosciente dei propri mezzi (salvo poi prendere atto che i tempi non fossero abbastanza maturi), il meloramma assume caratteri sempre più conservatori: la figura di rilievo (penso a Williams ma anche a Written In The Wind i Douglas Sirk) è sempre quella del rugged individualist. Se il ribelle Dean aveva portato scompiglio nel canone estetico o più prettamente cinematografico nella sua carreria di "ribelle senza ragione", caricandosi sulle spalle le angosce di una generazione che doveva confrontarsi coi padri eroi di guerra, cui l'american way of life aveva eretto monumenti negli anni successivi alla vittoria del '45, il modello di riferimento resta David Alfred Eaton (Paul Newman nel film). La middle-class, una couche che definir carnivora è dir poco, guarda al matrimonio come all'occasione più redditizia e meno impegnativa di escalation sociale. Le fortune d'America iniziano a fondersi l'un con l'altra instaurando un clima di competizione economica e sociale da cui i meno scaltri restano tagliati fuori in maniera inesorabile. Allora agli occhi di David Eaton la primogenita St. John (Joanne Woodward) è dovuta sembrare la gallina dalle uova d'ora confezionata nel più bel cesto che si potesse confezionare. Il personaggio di Newman, facente parte di questa categoria di manager rampanti pronti a sfilarsi il lavoro di sotto le mani pur di progredire verso posizioni aziendali sempre più alte e prestigiose, come ogni eroe trova la sua espiazione nel diletto, o meglio nel letto il suo. La gentile creatura dai capelli biondi si rivela essere una carceriera, attaccata al denaro, al sesso, alla necessità di saziarsi e di vivere nello sfarzo più completo, nel lusso sfrenato, nella assunzione massiva al vizio inteso non nel senso biblico ma fiosiologico. Allora l'individualista arrivista americano, si prende la testa tra le mani e su due piedi sceglie la strada della felicità infischiandosene della carriera, della bienséance che uno statuto d'affiliato in un'azienda importante impone ai suoi dipendenti più meritevoli, dimentica tutto e si lascia cullare dalla vita tranquilla in campagna al fianco di una ragazza per bene, docile e sottomessa, che non rappresenta un potenziale pericolo e che è capace di dimostrare da subito un amore incondizionato. Il problema, o meglio il limite, è che il sogno americano prevede che questo amore, nuovo sorto dalle ceneri dei legami precedenti, si faccia sempre all'interno dei salotti buoni della società che conta e che maneggia il denaro (la ragazza di cui si innamora Newman è la figlia di un impresario del Colorado ereditiera di una fortuna). Anche se il film di Robson tende a mettere in mostra la vacuità del materiale propendendo per la richezza dello spirituale tutto ciò non è che il pretesto per espandere ancor di più il sogno, ormai sconfinato, dell'individualista. La forza non è più nella terra, nel sacrificio, nella dedizione, e l'amore o l'illusione d'amore sono come le azioni in borsa, un investimento da covare pazientemente per raggiungere la tranquillità e l'affermazione, la richezza vuota e il riempirsi quotidiano di piccole diatribe borghesi. Perchè la terrazza in realtà non è che un campo di battaglia, e il ballo, per lento o andante che sia, rappresenta in realtà una fredda danza di morte.
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