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Invasión

Regia di Hugo Santiago vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Invasión

di yume
8 stelle

Un film "antico", come è "antica" l'Iliade, ma come il poema amato da Borges può essere di oggi e domani, sempre.

locandina

Invasión (1969): locandina

Sequestrato con i negativi originali (presumibilmente distrutti) dai militari all'inizio degli anni '70, Invasiòn ricompare sottotitolato e restaurato nel 1999 grazie ai laboratori della L.T.C , allo Studio Desmarquest per il trattamento sonoro e a Ricardo Aronovich, direttore della fotografia.

Un film girato in Argentina, un capolavoro oscuro e potente, con eroi che difendono la loro città contro misteriosi invasori.

Era il 1969, sembra girato nel 1976, all’arrivo della dittatura e di tutto il suo contorno di stadi, torture, desaparecidos e resistenza.

Eppure sa di Europa, New Wave e thriller alla Melville, per i colori ( un bianco e nero netto, saturo, magnificamente orchestrato dal grande Ricardo Aronovich ) le ambientazioni (un senso di minaccia costante incombe anche nelle scene più asettiche), un poliziesco senza polizia ma pieno di armi e scontri a fuoco, un film molto politico, ma in realtà sfuggente e rarefatto, sembra fantapolitica ma poi scopriamo che è storia, se non dei nostri giorni certo di cinquanta anni fa.

Lautaro Murua

Invasión (1969): Lautaro Murua

Definito “il segreto meglio custodito del cinema argentinoInvasiòn è sparito subito dagli schermi e dalla memoria, e in fondo anche del suo autore, Hugo Santiago, vissuto a lungo in Francia, allievo e poi assistente di Bresson, frequentatore di nomi illustri come Godard, Antonioni, Resnais, si sa poco. Ha realizzato alcuni lungometraggi in Francia  una serie di "oggetti audiovisivi", così li definiva, su opere d'arte e biografie dei suoi creatori, eppure Invasiòn, forse il suo capolavoro, è rimasto nell’ombra.

Gran film per tutta una serie di caratteri, innanzitutto cinematografici (reca perfino tracce di climi alla Losey  come Caccia sadica o Hallucination) ha pregi letterari (lo script a cui ha posto mano Borges ) musicali  (la struggente Milonga de  Manuel Flores, cantata da Ubaldo de Lio, nel film uno dei combattenti della resistenza, su testo di Borges) e un sound design importante, con chitarra e musica elettronica, bandoneon e tango, rumori ambientali inquietanti, grande andirivieni di passi sul selciato, un rimbombo cupo nel silenzio delle strade) e la fotografia ( il buio di vecchi interni della buona borghesia intellettuale, una trasandata periferia industriale, un porto commerciale, le vie del centro solitarie, esterni quasi da coprifuoco, prevalentemente notturni, di una città che sembra senza abitanti).

Su Aquilea, facile individuarla in Buenos Aires, incombe nel 1957 un’ invasione da parte di nemici mai nominati, misteriosi, ma quanto mai presenti nella qualità della vita di un gruppo di resistenti, tutti uomini tranne una donna e non proprio giovanissimi.

Vestiti in giacca e cravatta come anonimi borghesi del ceto impiegatizio, s’incontrano clandestinamente, organizzano azioni, la guida è don Porfirio, un candido vecchio che sembra davvero il vecchio, saggio Priamo re di Troia alle prese con la sorda, cupa e decennale minaccia dell’esercito Acheo, stanziato sotto le mura ma incapace di dare svolte significative alla guerra.

Pur essendo il  nemico alle porte, nei bar si parla di campionato e previsioni per la partita di domenica, la libertà sta per essere interrotta ma pochi sembrano farsene un problema, si affilano le armi in clandestinità ma per gli amici del bar conta solo essere numero uno nel calcio mondiale.

Juan Carlos Paz

Invasión (1969): Juan Carlos Paz

E come bastarono un cavallo di legno e la stanchezza dei Troiani, così Aquilea cadrà per un nemico esterno e tanti nemici interni.

Il gruppo che si contrappone ai resistenti in abito scuro è fatto da giovani della città in abito chiaro, l’esito è scontato, sono troppo più numerosi e collaborano con gli invasori alle porte per sistemare nello stadio un gran quantitativo di macchinari, l’invasione inevitabile, irresistibile, è in arrivo, ma non si sa quando.

Gli eroi veri sono intanto destinati a fallire, prima ancora che l’invasione avvenga saranno fatti fuori, anzi saranno loro stessi ad esporsi all’ultimo sacrificio, c’è un cupo senso di fatalismo che incombe, che non impedisce l’azione ma è come se la rendesse vana già al suo inizio.

Quegli uomini sono guidati da una forte passione libertaria, un romanticismo rivoluzionario destinato al fallimento, ma pur essendo assolutamente consapevoli di non avere alcuna speranza, si muovono seri e sereni, e in questo il richiamo avanzato da più parti all’Iliade, il poema prediletto da Borges, è condivisibile.

Da Troia sconfitta uscirono eroi vincitori (Ettore, Enea, Priamo, Andromaca, Cassandra, Ecuba e le sue figlie) nell’esercito Acheo vincitore si distinsero solo guerrieri litigiosi, avidi di ricchezze e potere (Agamennone, Achille, Aiace) e astuti manipolatori della realtà  (Odisseo).

Ma la vittoria e la sconfitta sono beni e mali effimeri, questo sembra suggerire la malinconia profonda che segna il film, quello che rimane nel tempo è altro e la storia “fa le sue vendette”,  diceva Montale.

Herrera (Lautaro Murúa), sua moglie (Olga Zubarry) Don Porfirio (Juan Carlos Paz) saranno sempre eroi contemporanei, come gli eroi dell’Iliade, sanno di dover combattere ma sanno anche che la lotta è infinita.

Cambieranno i modi, le armi, le strategie, ma oggi come allora non ci saranno né vincitori né vinti.

 

Milonga de Manuel Flores

 Y el sudor de la agonía

Para mí, cuatro balas

Cuándo este clareando el día

 Manuel Flores va a morir

Eso es moneda corriente

Morir es una costumbre

Que sabe tener la gente

 ……………………………..

Per gli altri la febbre

e dell’agonia il sudore

e per me quattro proiettili

quando la mattina sorge il sole.

Ormai è un’opinione corrente

morire è un’abitudine

che ha la maggior parte della gente

omani arriverà il proiettile

 con il proiettile l’oblio.

Così disse Merlino il saggio

Morir, dopo esser nati l’addio.

 

Eppure mi addolora

dire addio alla vita

questa cosa tanto abituale

così dolce e così nota

All’alba guardo la mia mano

guardo nella mano le vene,

con estraneità le guardo

come se fossero aliene.

Quante cose questi occhi

sul loro cammino avranno visto,

chissà cosa vedranno

dopo che mi avrà giudicato Cristo.

https://www.youtube.com/watch?v=8aQPFAZfyug

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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