Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Giacobbe, durante una festa, tenta di introdursi nella casa della ragazza di cui è innamorato ma viene buttato fuori. Da quel momento si rende conto dell'esistenza di un suo doppio col quale inizierà a confrontarsi. Il sosia è uno dei miei romanzi preferiti di Dostoevskij ma è anche, forse, quello più difficile da trasporre in un altro media, essendo tutto basato su suggestioni e frasi sapientemente deragliate atte a creare uno spaesamento nel lettore, rendendolo pienamente partecipe della distorsione di realtà del protagonista. Bertolucci tenta di riprodurre tutto ciò usando l'espediente del grottesco e certe soluzioni visive e narrative tipiche del cinema sperimentale di quegli anni (è facile trovare somiglianze visive con Dillinger è morto, ma anche con Necropolis o i lavori di Schifano e del Pasolini di Teorema e Porcile) contornate dagli immancabili riferimenti alla Nouvelle Vague (il Godard di Due o tre cose che so di lei o de Il disprezzo), il problema è che lo fa in maniera confusa, senza avere piena padronanza del materiale narrativo ed il risultato è parecchio sconclusionato. Anche l'idea di trasporre la follia del protagonista da una dimensione puramente esistenzial/patologica (credo che Il sosia sia ancora oggi il libro che meglio descriva la condizione di un paziente psichiatrico grave) ad una politico-sociale, sulla carta molto coraggiosa ed interessante, è mal gestita e ridotta ad allegorie scolastiche ed invecchiate parecchio male (come quella della lavatrice), lontane anni luce dalla potenza di opere successive come Zabriskie Point o Il diavolo probabilmente. Insomma, come per il precedente Prima della rivoluzione, Bertolucci appare confuso, alla ricerca di una cifra stilistica che non riuscirà ad emergere pienamente fino a Il conformista.
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