Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film
Si può ricondurre Principessa Mononoke ai criteri di riflessione tipici dell’Occidente, sul rapporto fra uomo e Natura, sull’arroganza dell’essere vivente capace di uccidere persino Dio per se stesso, eccetera, ma verrebbe meno quella splendida sensibilità tutta nipponica che Miyazaki, in molti altri casi così come in questo, infonde alla sua pellicola. Una concezione panteistica della vita che non è in grado di distogliersi dalla natura stessa, positivamente o negativamente che la si concepisca. Per antitesi o per simbiosi, i personaggi del bellissimo Principessa Mononoke sono legati alla natura, alla vitalità impulsiva di un bosco animato e un po’ tenebroso, il ricovero nascosto ma pericolante del Grande Dio Bestia. Le bianche creature del bosco stanno ad osservare gli umani passanti con la fredda naturalezza di chi è tenero e minaccioso al contempo, come a caricare su di se il carattere conciliante e al contempo obliante della Natura stessa, portando tutto verso una rotta decisamente archetipica e primordiale. L’epicità che si respira in questa storia così di grande respiro è davvero leggendaria, impagabile. Miyazaki non esclude la violenza, un po’ di crudeltà e l’elemento anche leggermente disturbante e disgustoso per parlare di Bene e Male e di tutti gli esseri umani e tutte le creature che ci stanno in mezzo. Da una parte e dall’altra, senza esclusione di colpi, gli esseri viventi sembrano nati per la guerra, tanto che l’unica possibile conciliazione avviene solo quando è stato fatto il deserto e si è portata a termine una carneficina. Gli abitanti di un piccolo villaggio nel bosco producono armi sempre più sofisticate per distruggere finalmente la folla di cinghiali che minacciosamente pervadono quelle terre. Essi dalla loro sono incapaci di comprendere gli esseri umani, e si rivelano spesso arroganti e accecati da una rabbia più conformistica che motivata. Il motore di brutalità che li attraversa in certi momenti fa accapponare la pelle, perché tutto il film potrebbe richiamare alla mente l’idea topica e ultrasfruttata della Natura salvifica e ideale, ma anche dalla sua parte la Natura coltiva tutto l’odio e il rancore possibile e immaginabile, nella convinzione obnubilante di essere dalla parte del giusto. Chiedersi di chi sia veramente colpa, alla fine, potrebbe coincidere con il quesito dell’uovo e della gallina, con l’unica possibile conclusione che si girerebbe in tondo senza davvero aver compreso nulla. Si fa presto a dire che sono gli umani ad essere davvero i più crudeli (ed è la verità), ma il Male che serpeggia fra creature e umani stessi è tutto un prodotto della Natura, una spinta istintuale che ha la stessa forza del candore della foresta, e che potrebbe sembrare spinga all’idea della Morte, ma è Vitalità paonazza al cento per cento. Così come gli umani spesso non hanno bisogno di alcun tipo di segno o colore o caratteristica per dimostrare di essere malvagi, perché il male in loro è connaturato e incapace di comprendere anche emozionalmente il reale. È tutto un circolo vizioso da cui si salvano Ashitaka e San, l’uno marchiato pure dal Male ma sempre coraggiosamente capace di combattere contro quello stesso Male e dunque – essendo marchiato – contro se stesso, l’altra agguerrita e in odio totale con gli umani (tanto da capire di più la causa dei cinghiali), ma sempre dell’idea mai smentita di non essere una di loro, benché anche qualcos’altro oltre il suo corpo lo dimostri. Nonostante la larghe ed accoglienti chiazze del manicheistico mito, Principessa Mononoke lascia trapelare tutta la sua problematicità, osservando la capacità delle creature viventi di privarsi del senso stesso della loro esistenza pur di godere di un potere totalitario e pericoloso. Una normale spinta autodistruttiva ancora una volta del tutto naturale, spontanea, uniforme, che spinge tutti i personaggi fino alla fine, e che anche nella scoperta definitiva della Vita e del contrario supremo del Male, il Bene, non può non scordarsi che dietro quei fiori e quell’erba così verde e luccicante c’è stato il caos della guerra, della (sperata) uccisione di un Dio, di uno sterminio di un’intera razza. Nonché le manie semplici o semplicemente agghiaccianti di bestiali esseri viventi. Senza dimenticarci che l’ideale di Bene (capace di trasformarsi in Male), il Grande Dio Bestia, porti sul suo nome proprio il termine Bestia. Il ritorno alla Natura non è un abbandonarsi, ma un’altra cascata di contraddizioni.
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