Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Adolf Hitler (Leonid Mozgovoy) ed Eva Braun (Elena Rufanova) soggiornano sulle Alpi bavaresi per qualche giorno di vacanza. Arrivano a fargli compagnia il fido Martin Bormann (Vladimir Bogdanov) e il potentissimo ministro della propaganda Joseph Goebbels (Leonid Sokol) con la moglie (Ylena Spiridonova).
In una fortezza che svetta sulla sommità del mondo, immersa nella natura incontaminata, Aleksandr Sokurov tratteggia i contorni di una tragedia attraverso la rappresentazione farsesca dei suoi agenti esecutori. Dalla plasticità di figure che si muovono come delle marionette alla fotografia che vira verso un grigio glaciale, dall'atmosfera rarefatta e sognante all'austerità degli interni, tutto conduce a una messinscena surreale di un male assoluto, sospesa tra la grottesca caricatura dei mostri e l'analisi seria sulla banalità del male. Il Moloch si concede qualche giorno di ozio, lontano da tutto e da tutti : dalle incombenze che gli derivano dall'essere il capo assoluto di una nazione in guerra e dai resoconti di una catastrofe umanitaria di cui lui è il primo e massimo artefice. La storia scorre sotto di lui, col suo corollario di morte e distruzione, ma a lui arrivano solo echi indistinti, parole e luoghi che gli suonano strani, quasi sconosciuti. "Aus..che ?" domanda alla moglie, frase che suona come il limite massimo entro cui può spingersi la cattiveria umana, quello che fa essere indifferenti anche rispetto alle proprie mostruosità. L'orrore è nella sbigativa superficialità con cui si liquidano i fatti tragici della storia, nella maniera irriverente con cui l'uomo che ambisce ad essere il despota del mondo intero viene ridicolizzato dalla fervida personalità della moglie. Perchè l'orrore è spiare il mostro dal buco della serratura e scoprire che la banale ordinarietà che riguarda il suo vissuto domestico è la medesima riscontrabile in qualsiasi essere umano. "Moloch" è il primo capitolo della trilogia dei potenti (continuata con "Taurus" sulla figura di un Lenin agonizzante, e il "Il sole" sull'Imperatore giapponese Hirohito), opera con la quale l'autore russo ha inteso analizzare l'essenza intima della nozione di potere, depotenziandone l'implicita attitudine al comando e mostrandoci il suo detentore in tutta la sua nuda e banale esteriorità domestica. Come già mi è capitato di scivere a proposito de "Il sole", ho sempre pensato alla trilogia di Aleksandr Sokurov come al corrispettivo cinematografico della fondamentale opera di Hannah Arendt "La banalità del male". Come la grande filosofa tedesca, Sokurov sembra suggerirci che, a guardarli bene nell'intimo, questi grandi potenti somigliano più a dei capi burocrati abituati a ripetere sempre le stesse azioni che a dei grandi strateghi della politica di dominio e che il male in se, quello ricondotto all'irriducibilità della sua natura, oltre che nella loro tirannia risiederebbe nello scoprirli molto somiglianti al classico vicino della porta accanto. Il male è nelle cose e mostrare il capo del nazismo scarnificato della sua assurda malignità significa ribadirlo con una forza che raramente era stata proposta al cinema con tale sapienza tecnica e originalità d'intenti. Un grande film di uno degli autori più importanti del cinema contemporaneo.
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