Regia di Pablo Trapero vedi scheda film
Rulo (Luis Margani) è un cinquantenne alla ricerca di una rinnovata stabilità esistenziale. Ancora vividi in lui sono gli anni 70, quando era stato un bassista di un gruppo rock di successo noto con lo pseudonimo di Paco Camorra. Ora ha una moglie da cui si è separato, un figlio (Federico Esquerro) che sembra voler ricalcare le sue stesse orme musicali è una madre (Graciana Chironi) ancora attenta alle cure per il figlio. Nel grigiore della sua vita, un po’ di colore potrebbe venire da Adriana (Adriana Aizemberg), la cameriera della tavola calda in cui va spesso nelle pause pranzo con la quale potrebbe nascere qualcosa di serio. Ma è il lavoro il suo cruccio principale, e nella perenne ricerca di uno che gli dia qualche durevole garanzia di stabilità, è disposto a tutto : imparare a manovrare una gru a più di 100 metri da terra o a spostarsi a più di 200 km dalla sua Buenos Aires.
“Mondo Grua” segna l’esordio alla regia dell’argentino Pablo Trapero che esplora il mondo del proletariato urbano incollandosi al corpo rotondeggiante di Rulo con audace discrezione, come chi ambisce a farne un carattere emblematico del tema sociale che si intende far emergere ma stando attento a mantenere la giusta distanza per non mostrarsi gratuitamente retorico. Lo stile è asciutto, a tratti quasi documentaristico, teso a far sì che a essere importanti siano gli impercettibili slanci emotivi, i gesti che si compiono ogni volta con meccanica naturalezza. Detto altrimenti, Trapero si dimostra bravo a tratteggiare il carattere di un bel personaggio puntando più sulla somma di tanti gesti minuti piuttosto che su eclatanti snodi narrativi. L’architettura della messinscena è indirizzata da un bianco e nero sgranato che trova il suo giustificato utilizzo nella volontà di far emergere la parabola esistenziale di Rulo in tutta la sua essenziale personalità. Parabola che è quella di un uomo il quale, se da un lato ha buoni argomenti per poter accampare qualche legittimo rimpianto, dall'altro lato palesa un rapporto con la vita che non lo porta mai ad affogarla nel mare paludoso del vittimismo. Rulo cerca di rimanere artefice principale della propria vita, con una volontà di spirito che tende ad adeguarsi al necessario accadere dei fatti senza smettere di ribellarsi contro la strana indifferenza dei “nuovi padroni”. Ha le stimmate del perdente, ma piuttosto di pensarsi come una piccola pedina in una nazione in via di continui cambiamenti, sostituisce al fare recriminatorio il coraggio di prendere scelte forti.
Rulo è un ex magro e un ex bassista di un gruppo rock di successo (lui era noto con lo pseudonimo di Paco Camorra), e se il peso attuale gli rende difficile l’esperienza lavorativa sulla sommità di una gru, i suoi trascorsi da musicista lo fanno convivere perennemente col pensiero di ciò che poteva essere la sua vita e non è stata. Questi sono due aspetti portanti del film, continuamente intenti a rimbalzarsi il ruolo di punto trainante della narrazione fino a prosciugarsi entrambi nella comune adesione al carattere di Rulo, che se che dà mostra di allinearsi a ciò che propone il contingente è solo perché è questo l’unico modo che ha a disposizione per rimettersi in carreggiata. Del resto, all’ex rockettaro non dispiacerebbe affatto lavorare su una gru. Oltre al fatto che con questo lavoro sarebbe “libero di leggere, ascoltare musica e scoreggiare in santa pace”, da lassù potrebbe dominare l’intera Buenos Aires, guardarla da una prospettiva assolutamente inusuale. Come del resto suggerisce il titolo del film, poter guardare da molto in alto quella stessa città che si è soliti vivere assorbendone ogni umore della strada, può significare offrire alla vista il dono della magnificenza, dargli la possibilità di traghettare nuovi orizzonti ben oltre gli sconvolgimenti indiscriminati dello skyline. Perché, stare su una delle tante gru che svettano dai grattacieli in costruzione, significa stare al centro esatto del mondo, nel suo cuore pulsante, nella sua anima che elabora progetti in divenire. Una gru, per il fatto stesso che è stata eretta, si fa simbolo di stravolgimento urbano, di sviluppo economico, di ricchezza che si promette scendere a pioggia. Ma tutto questo viene solo evocato come fatto sociale, agendo per contrasto attraverso il vissuto di Rulo, che di tutto l'efficientismo imprenditoriale che si può ammirare dall'alto e testimone solo di uno sviluppo che non genera progresso generalizzato, di una creazione di profitto che non affranca il lavoro dai ricatti della precarietà.
Quella di Pablo Trapero è una “tipica” regia di osservazione, capace di sottrarre l'adesione emotiva alla vita di Rulo dal ricatto morale di dover prendere delle posizioni ideologiche preconfezionate. La precarietà lavorativa del protagonista è un fatto, e per quanto partecipe (come in questo caso) della finzione cinematografica, è impossibile non farla aderire al modo ordinario in cui le cose avvengono nell'azienda mondo. L’autore argentino è stato bravo ad agire di sottrazione, a far emergere la sostanza di una vicenda umana facendo unicamente leva sulla semplice essenzialità che la caratterizza, senza perdersi in gratuiti ghirigori stilistici a cui l'esordio alla regia avrebbe potuto offrire un appiglio giustificativo. Del resto, il timbro realista presente in “Mondo Grua” non è rinvenibile tanto dell'ostinata aderenza alla realtà fattuale, quando nella caratterizzazione umanista di questo antieroe a cui ci si affeziona perché non somiglia a nulla di veramente diverso da quando è possibile ritrovare tra le nostre prossimità.
Insomma, un grande esordio per un gioiello di film da restituire alla luce.
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