Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
Ottimo film, checché ne dica qualche critico abbonato ad imputare a Bolognini l'eccessiva cura formale e la scarsa cura per la sostanza del racconto. Qui i due aspetti si coniugano bene, formando un insieme che dà vita, probabilmente, al miglior Bolognini di sempre. Il film si apre come una sorta di "Viceré" (inteso come il grande romanzo di De Roberto) dei poveri, con la morte del patriarca, un vecchio contadino della campagna fiorentina, che detta le sue ultime volontà ai figli riuniti al suo capezzale: il podere della Viaccia non dovrà essere diviso, ma restare a uno solo dei figli. Il prescelto è Stefano, il figlio più simile al defunto capofamiglia, nonché padre del nipote prediletto Amerigo, detto Ghigo. Quest'ultimo, però, ha una mentalità diversa da quella degli avi: ha un animo meno gretto e più sognatore, ed è affascinato dagli ideali egualitari del socialismo e dell'anarchia. Quando viene mandato a Firenze, per stare a bottega con lo zio vinaio, giovanotto e benestante, Ghigo non tarda a recarsi in una casa di tolleranza, dove conosce la bella prostituta Bianca. Questa frequentazione ne causerà l'allontanamento dalla famiglia, mentre l'amore per la donna perduta si rivelerà impossibile, anche per la mentalità rassegnata di lei.
Gli interpreti contribuiscono alla riuscita del film, sia Belmondo, incredibilmente misurato, che la Cardinale, bellissima e maledetta. Ma i migliori sono i vecchi, a cominciare da Germi e dal grande attore francese Paul Frankeur. (31/08/2007)
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