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La spia che venne dal freddo

Regia di Martin Ritt vedi scheda film

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La recensione su La spia che venne dal freddo

di vermeverde
8 stelle

La spia che venne dal freddo (titolo otiginale “The Man Who Come In From The Cold”), girato da Martin Ritt nel 1965, è tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carrè, il quale aveva fatto parte dell’MI6. È una storia di spionaggio antitetica a quelle di 007, in gran voga in quel periodo, in cui, anziché mirabolanti avventure e smargiassate, è messo in mostra in particolar modo l’aspetto “tecnico” dei servizi segreti, mondo dominato dal cinismo in cui l’aspetto esteriore è solo un paravento per subdoli inganni; scrittore e regista si mantengono equanimi non parteggiando per nessuno dei due blocchi contrapposti.

L’interesse e la bellezza del film risiedono, più che nella trama incentrata su un intrigo assai complesso e ingannevole definito da un personaggio “di quasi sovrumana sottigliezza”, nella sua atmosfera dimessa e plumbea, valorizzata dalla bella fotografia in bianconero di Oswald Morris, in cui il “freddo” del titolo è il lavoro svolto dal protagonista sul campo, e non al chiuso degli uffici, in ambienti ostili, solitario e senza amici. Il tono generale del film è amaro e pessimista: alla fine gli sconfitti sono coloro che possedevano un qualche valore umano, una propria morale o un ideale, e ne esce vincitore chi, con spregiudicato cinismo sa ingannare meglio traendone vantaggio, in entrambe le parti in lotta.

L’attenzione del regista è rivolta ai personaggi principali dei quali è indagata la psicologia per mezzo di pregnanti dialoghi che prevalgono di gran lunga sulle azioni, ma senza che si abbia l’impressione di un’eccessiva verbosità, grazie anche al montaggio che assicura un buon ritmo alla vicenda. La peculiarità del film è messa in risalto dall’ottima prova degli interpreti principali; spicca su tutti la magnifica interpretazione di Richard Burton, un dimesso e disilluso agente Alec Leamas, che senza alzare i toni ne rende perfettamente l’umanità capace di un sincero amore (caso raro nei film di spionaggio) per la bibliotecaria Nan Perry, una dolce e sensibile Claire Bloom, sinceramente dedita all’ideale comunista. Ottima anche la prova di Oskar Werner (premiato con l’Oscar) che impersona con intensità il sagace Fiedler, antagonista del suo capo, Mundt, direttore dell’Abwehr (controspionaggio della Germania Est), impersonato da un duro e ambiguo Peter van Eyck. Di pari livello i comprimari, tutti adeguati ai propri ruoli, fra i quali segnalo Cyril Cusack (Control, il capo di Leamas) e Bernard Lee, uno degli interpreti fissi della saga di James Bond, qui nei panni di un droghiere.

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