Regia di Alessandro Gassmann vedi scheda film
La prestigiosa villa di Valerio Primic (Gallo), scrittore di successo nella Napoli degli anni Sessanta, sta per essere venduta: il tracollo finanziario impone al capofamiglia, alla moglie alcolizzata (una Margherita Buy sempre più prigioniera del type casting), ai due figli e alla domestica che lavora con loro da decenni (Confalone) di ridimensionare il proprio stile di vita. Nello studio di Primic, nella più classica delle "giornate di merda", aggallano vecchi rancori: la moglie lo accusa di un eccesso di egoismo, il figlio (Linfatti) gli confessa la propria omosessualità e l'ingombro di un cognome tanto importante e riconosciuto (un riferimento nel quale non è difficile trovare un nesso con quello che porta il regista), la figlia (Fotaras) gli vomita addosso la propria gravidanza, imputabile a un uomo che ha la stessa età del padre. Tanto trambusto è riconducibile a un'unica causa: quel silenzio grande, figlio di un'ininterrotta catena di silenzi piccoli, come suggerisce con lapidaria semplicità la donna di servizio (evidente alter ego fantasmatico del protagonista), che ha portato la famiglia a disgregarsi.
Tratto da un'opera teatrale di Maurizio De Giovanni, commissionata dallo stesso Gassmann che l'ha diretta a teatro, Il silenzio grande ne conserva interamente l'impianto, incentrando quasi tutto lo svolgimento narrativo nel polveroso studio straripante di libri dove il protagonista passa le sue giornate. Ne soffre il film, al quale non basta l'aggiunta di una fotografia ambrata e sepolcrale né lo scantonamento verso un finale irrealistico, che è anche la cosa peggiore del terzo film da regista di Alessandro Gassman (visibile in un minuscolo cameo).
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