Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Il cinema di Ozu tocca la massima profondità poetica nella purezza della semplicità, in questa commovente riflessione su come i mutamenti portati dal tempo e dall'evoluzione sociale allentano irrimediabilmente i legami più essenziali. Ma l'amarezza è stemperata da una serena accettazione di questa delusione come parte ineludibile dell'esistenza.
I coniugi Hirayama, una coppia ormai anziana, si reca in visita dalla cittadina costiera di Onomichi, nella provincia di Hiroshima, alla lontana capitale Tokyo, dove vivono due dei loro figli, con le rispettive famiglie, e la nuora, vedova di un altro figlio disperso otto anni prima durante la guerra. Gli attempati genitori, accolti con apparente entusiasmo dai figli, Koichi, medico di quartiere, e Shige, proprietaria di una salone da parrucchiera, già dai primi giorni iniziano ad essere in realtà trattati come un incomodo, perché il ritmo frenetico della vita nella metropoli non può arrestarsi né rallentare nemmeno in occasione della rara visita degli anziani genitori e non c'è tempo di accompagnarli in giro a visitare la capitale né per trascorrere le ore con loro. Soltanto la gentile nuora Noriko, giovane vedova fedele alla memoria del marito scomparso, pur non avendo legami di sangue con i signori Hirayama si comporta più da figlia di tutti gli altri, per cui i visitatori sono una scocciatura da cui liberarsi il prima possibile, magari pagandogli un soggiorno alle terme, perché non intralcino i loro impegni.
I figli non capiscono che per gli anziani genitori, che sentono avvicinarsi il termine delle loro vite e devono affrontare un faticoso viaggio di un giorno e mezzo di treno per raggiungere Tokyo, questa rappresenta una delle ultime preziose occasioni per stare insieme a loro ed a i nipotini. Soprattutto la figlia maggiore Shige dà prova di cinismo e anaffettività e sembra tollerare con malcelato fastidio la loro presenza, rimproverando persino il marito per aver acquistato per gli ospiti biscotti troppo costosi. La coppia ad un certo punto deve dividersi per trovare un letto ove passare la notte, la mamma da Noriko, il padre addirittura da conoscenti, e decidono infine di rientrare a Onomichi. Tuttavia la madre, che già accusava segni di stanchezza, durante il faticoso viaggio si aggrava e dovranno essere i figli ad accorrere a Onomichi al suo capezzale. La morte della donna non porterà nessun cambiamento nell'atteggiamento dei figli, nessuna presa di coscienza: tutto continua a scorrere come prima. L'egoista Shige, che aveva proposto di portarsi già gli abiti da lutto nel viaggio al capezzale della madre malata, ovviamente è quella che ipocritamente fa maggiori scene di pianto alla notizia della sua morte, ma subito dopo si preoccupa di impadronirsi di suoi effetti personali per poi ripartire immediatamente e tornare ai suoi affari, come d'altronde gli altri, chi al lavoro, chi addirittura ad una partita di baseball.
Guarda caso, Noriko è l'unica che trova il tempo di fermarsi ancora qualche giorno dopo le esequie. Nel confronto finale con la figlia minore che vive ancora in casa, comprensibilmente adirata per il comportamento egoista e irrispettoso dei fratelli maggiori, con gentilezza e accettazione di stampo buddista le spiega che crescendo capirà che questa è la natura dei rapporti tra genitori e figli, destinati ad allontanarsi e distaccarsi man mano che questi ultimi procedono nella loro esistenza autonoma.
In una storia tanto commovente quanto apparentemente semplice, e tuttavia in realtà ricca di sottigliezze e di profondità, Ozu raffigura lo stravolgimento portato nel dopoguerra da una modernità che fa prepotentemente irruzione nella società tradizionale giapponese, votata da sempre al culto delle tradizioni, ma al contempo protagonista di uno dei processi di sviluppo economico e sociale tra i più irruenti che la storia ricordi. Un periodo storico, quello del dopoguerra, che al cinema ha visto emergere i più acclamati registi nipponici: lo stesso Yasujiro Ozu, Akira Kurosawa e Kenji Mizoguchi. Tuttavia, pur conoscendo le opere degli altri due autori, la scoperta di Ozu (attraverso una maratona di sei suoi film pubblicati in cofanetto) mi ha rivelato per la prima volta il Giappone di quel periodo, visto che gli altri due preferivano, per la maggior parte, ambientare le loro pellicole in un passato storico-mitico di samurai e shogun. La macchina da presa di Ozu torna invece con insistenza a soffermare la propria attenzione sulle ciminiere, sui cavi dell’alta tensione, sui binari del treno, immagini di un Paese che si sta occidentalizzando e vede contemporaneamente smarrirsi quei legami familiari tradizionali e quel rispetto reverenziale degli anziani, valori che devono lasciare spazio all'individualismo, che modifica irrimediabilmente le relazioni umane sottraendo il tempo necessario a coltivarle.
Noriko, donna comunque moderna, che vive da sola e si mantiene col suo lavoro di impiegata in un ufficio, rappresenta l'eccezione ma anche la speranza che la gentilezza ed il candore possano sopravvivere all'irruzione della modernità. Proprio il discorso della mite e modesta Noriko, che rifiuta di presentarsi come più virtuosa rispetto al resto della famiglia, dà voce ad un sentimento di accettazione dell’ineluttabilità della vita, dei suoi mutamenti e delle sue delusioni che rappresenta il cuore dell'opera. Ed infatti il padre rimasto vedovo regala l'orologio della moglie (simbolo dell'inarrestabile scorrere del tempo) proprio a Noriko, che nel viaggio di ritorno lo stringe con struggente commozione. Ozu fotografa una realtà amareggiante, ma, come i suoi protagonisti, rifiuta di pronunciare giudizi o condanne moralistiche, comunicando piuttosto profonda empatia per i coniugi Hirayama, esempio di legame coniugale tenero e forte al tempo stesso, che ha resistito alle intemperie di un'intera vita insieme, i quali scelgono alla fine di non recriminare, ma piuttosto consolarsi pensando che "I figli non corrispondono mai alle aspettative dei genitori. Rallegriamoci che (i nostri) sono meglio della maggior parte." Anche quando le aspettative iniziali lasciano lentamente il posto alla delusione e ad un sentimento di malinconia, la pellicola rimane comunque intrisa di un placido senso di pace, che non viene stravolto nemmeno dal lutto: c'è serenità anche nei passaggi più dolorosi, sempre rappresentati con uno stile pudico, più commovente che tragico (Oh era una donna testarda...ma se avessi saputo che sarebbe andata così, sarei stato più gentile con lei. Vivendo da solo, le giornate saranno molto lunghe...")
Il tono delicato di quieto ma intenso lirismo trova una perfetta ed armonica espressione nell’essenzialità dello stile registico di Ozu, prova tangibile di come il cinema possa toccare la massima profondità poetica nella purezza della semplicità. Nonostante la staticità della macchina da presa, collocata in basso, all'altezza del tipico tavolo basso attorno cui la famiglia nipponica si riunisce seduta sul tatami, la pellicola mantiene una grande scorrevolezza naturalezza fino al termine delle oltre due ore di mirabile armonia, con un crescendo di commozione nella sezione conclusiva. Magistrale è la meticolosa composizione delle inquadrature, ognuna delle quali va a formare un quadro incantevole, ove è geometricamente studiata la posizione dei personaggi nell'ambiente (quasi sempre casalingo) e dei dettagli che la mdp si sofferma ad inquadrare, le stanze vuote dopo che le persone ne sono uscite e gli oggetti di uso domestico, come una teiera o i panni stesi che oscillano al vento, ma anche i vagoni sferragliati di un treno od il placido sciabordare di un battello.
La trama incardinata sui rapporti familiari, principalmente tra genitori e figli, è il filo conduttore dell'intera filmografia del regista, seppure stavolta non ci siano matrimoni da organizzare (nella maratona dei sei film, tutti narravano di vicende domestiche e solo due non vedevano la trama incentrata sull'organizzazione di uno - o più - matrimoni). In questo Ozu non può non essere stato fonte di ispirazione per Hirokazu Kore Eda, il moderno poeta nipponico delle vicende familiari, che posa uno sguardo intimista sulle medesime dinamiche, aggiornate alla nostra contemporaneità.
Altra scoperta che ho fatto è che Ozu traeva sempre i suoi protagonisti dal medesimo ristretto gruppo di attori: il marito è Chishu Ryu (presente in ciascuno dei sei film da me visionati), la moglie è Chieko Higashiyama, mentre altre due interpreti ricorrenti sono Setsuko Hara -la nuora Noriko - e Haruko Sugimura- la figlia Shige. Tutti danno ottima prova di recitazione trattenuta e discreta, nei loro ruoli che non sono né di eroi né di malvagi, ma di persone comuni, spesso silenziose, assorte e contemplative, dai volti quasi sempre placidi e sorridenti.
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