Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Se l'intento e il gesto cinematografici di Lav Diaz e Andrej Tarkovskij avessero un nome, quello sarebbe Yasujiro Ozu.
"Viaggio a Tokyo" sta al cinema, come il buddismo sta all'esistenza. E, in questo caso, da un punto di vista formale, l'imparzialità del punto di vista centrale confermerebbe ciò, poiché comporterebbe una distensione dello sguardo, di conseguenza dell'impronta stilistica, nonché un allentamento della tensione visuale, e l'accettazione anche formale degli avvenimenti narrativi, come fosse una sorta di pace della prospettiva, ovvero un rilassamento della mise en scene che si sposa perfettamente con la morbidezza dello spirito tramico; come se il mezzo cinematografico accettasse gli avvenimenti, senza opporre resistenza alcuna, ancor prima dei suoi personaggi. Insomma, in "Viaggio a Tokyo", per la prima e unica volta nella storia della settima arte, si percepisce il respiro del cinema; come se il mezzo cinematografico avesse un suo ritmo vitale; come se fosse consapevole, anch'esso, dell'ineluttabilità esistenziale, nonché dello scorrere del tempo. Si può, infatti, tranquillamente notare come in "Viaggio a Tokyo" non sia presente mai un conflitto o una tensione espliciti, che siano essi relativi allo sguardo, alla narrazione o all'impianto formale. È straordinario come in "Viaggio a Tokyo" v'è un'armonia vitale anche nei campi e contro-campi riguardanti, soprattutto, gli scambi di battute tra i protagonisti del film.
Insomma, per tutto ciò elencato nelle righe precedenti, "Viaggio a Tokyo" risulta essere la più grande preghiera cinematografica di tutte.
Come un film-rituale, un film-cerimonia.
In base a ciò scritto all'inizio del paragrafo precedente, "Viaggio a Tokyo" sposa quel mood esistenziale che è tipico del buddismo, in cui, sinteticamente, tutto quello che accade, bisogna accettarlo, lasciando, in sostanza, scorrere il flusso vitale. Il suddetto aspetto, incredibilmente, si sposa, in questo caso, col ruolo spettatoriale, in cui il pubblico è libero di scorrere, finalmente, insieme al film, senza, però, dipendere da esso; lo spettatore, grazie al film, al cinema, è libero di dedicarsi alla vita. Il cinema fa il suo corso parallamente, di fianco, allo spettatore, e viceversa, e quest'ultimo non deve sottostare ad esso, nonché vincolarsi ad esso. Poiché, appunto, tutto scorre e fluisce, indipendentemente da ciò che fa l'altro. Incontrandosi, ogni tanto, qualora si volesse, in un determinato punto del film o in un determinato punto della vita. In un certo senso, paradossalmente, il pubblico potrebbe interrompere e riprendere la visione a suo piacimento, e non si perderebbe, comunque, il senso filmico di quel flusso vitale o, forse, il senso vitale di quel flusso filmico. Poiché, appunto, "Viaggio a Tokyo" è la vita. E ne ritrae ed esperisce il suo senso più profondo e sacro. "Viaggio a Tokyo" è un trionfo per lo spettatore. Una vittoria. Perché libera il cinema e libera il pubblico. Tutto ciò, in sostanza, è un atto rivoluzionario e salvifico. L'unica rivoluzione pacifica possibile.
"Viaggio a Tokyo" è il controcampo de "I Racconti della Luna Pallida di Agosto", poiché in entrambi i film (del 1953!), nel loro fluire, lo spettatore e i personaggi (ancora una volta, insieme!) assistono alla stessa alba; il pubblico insieme, da una parte, al fantasma di Miyagi col dormiente marito Genjurô in "I Racconti della Luna Pallida di Agosto" dopo che quest'ultimo rientra nel suo villaggio, e dall'altra, a Noriko e a Shokichi poco dopo la dipartita della moglie di quest'ultimo in "Viaggio a Tokyo".
Probabilmente, questo fatto, avviene nello stesso momento.
[si noti, tra l'altro, la "simmetria" dei titoli originali, ovvero Tokyo Monogatari e Ugetsu Monogatari.]
Nell'opera di Yasujiro Ozu, quindi, si incontra l'umanità tutta.
È una filosofia di vita.
La massima espressione cinematografica dell'esistenza.
Come già scritto in precedenza, il lungometraggio del filmmaker giapponese è, semplicemente ed incredibilmente, vita.
È un'opera unica ed inimitabile.
È un incontro cosmico...
...e forse il più bel film di sempre.
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