Regia di James Gunn vedi scheda film
Risulta piuttosto paradossale che questa nuova versione della Suicide Squad sia intesa come un totale recap, se non effettivamente almeno formalmente, di una pellicola che, nel bene o nel male, aveva comunque incassato per la Warner/DC la bellezza di 750 milioni di dollari solo qualche anno fa.
Inoltre la premessa iniziale di Missione Suicida di James Gunn é esattamente la stessa della Suicide Squad di David Ayer: un variegato gruppo di supercriminali detenuti a Belle Reve, la prigione di massima sicurezza costruita per rinchiudervi (e gettare via la chiave) la peggior feccia meta umana degli Stati Uniti, accetta di prendere parte alla super segreta Task Force X, soprannominata Suicide Squad, per partecipare a una missione ad altissimo rischio in cambio di uno sconto di pena.
La premessa é esattamente la stessa. E’ tutto il resto a cambiare.
E questo cambiamento ovviamente ha un nome.
"Trentatré trentini entrarono in Trento tutti e trentatré trottorellando...."
Missione Suicida é una specie di ritorno alle origini per James Gunn, ovvero a quella Troma Production fondata negli anni’70 da quei pazzi visionari di Lloyd Kaufman & Michael Herz in cui ha mosso i primi passi, e senza i vincoli di un target per famiglie (chi credeva che il film sarebbe stato una specie di versione DC dei Guardians of the Galaxy probabilmente rischia di rimanere deluso) Gunn trascina lo spettatore in un calderone di due ore di puro delirio (narrativo e visivo), violenza (tra esplosioni, arti smembrate, sangue e viscere disseminate ovunque) e divertimento (spesso irriverente e scorretto) e nel quale dà libero sfogo alla sua anima più nerd oltre che al suo amore per il cinema, di serie B come anche per quell’industria indipendente di film a basso costo dall’ironia greve e politicamente scorrettissima.
Una pellicola in cui Gunn si diverte, si divertono i suoi personaggi (e con loro chi é chiamato a interpretarli) e, soprattutto, si diverte il pubblico.
Il senso del film di Gunn è tutto nella sua premessa, in parte mancata nella pellicola di Ayer, ovvero una squadra suicida di pazzi e sanguinari che non ha niente da perdere e quindi disposta a tutto pur di raggiungere l’obiettivo e ottenere così uno sconto della pena che si traduce, narrativamente e visivamente, in nessun limite, violenza sfrontata, dialoghi irriverenti, situazioni oltraggiose e/o politicamente scorrette oltre a tantissimo sangue e budella a profusione.
..quì c'é solo l'imbarazzo della scelta. The Boys? ..Invincible?.. O Siege della Marvel?
Il regista lascia così libero sfogo al lato più estremo della sua creatività e infonde la sua anima più reazionaria in questa nuova versione cinematografica dei protagonisti DC ma soprattutto mostra la sua maestria nel gestire storia e personaggi, che sono moltissimi ma che, al di là della loro presenza sulla schermo, in molti casi veramente minima, riescono sempre ad avere un proprio senso per quanto (spesso) relegato a una situazione particolare o semplicemente a una gag.
I presupposti e l’estetica del suo cinema sono comunque sempre gli stessi ma esposti in un modo differente, attingendo come sempre a riferimenti della cultura pop e a un’escalation drammaticamente scorretta, ricca di sangue e violenza, per un approccio al cinecomic in realtà già in parte esplorato sia al cinema, più con Deadpool che con il suo stesso GOTG, che in TV con The Boys e (soprattutto) con Invincible, serial animato di Amazon (e relativa serie a fumetti della Image Comics scritta dal Robert Kirkman di The Walking Dead) a cui Gunn fa parecchio riferimento.
Dalla fotografia, ad opera di Henry Braham, con un pizzico di vintage, da una CGI dal cuore pop e che privilegia il deforme e/o l’ossimoro (!) al realismo fino alla colonna sonora di John Murphy e al (solito) campionario musicale che é da sempre il marchio di fabbrica di Gunn e delle sue pellicole, capace imprevedibilmente di dare profondità e sfumature, anche inedite, al film e/o ai personaggi (a partire da Johnny Cash e dal People Who Dead della The Jim Carrol Band nei titoli iniziali) Gunn realizza un film che è un ingranaggio ben oliato e perfettamente anarchico, una pellicola corale nel quale nessun personaggio fagocitiagli altri (almeno tra quelli protagonisti), muovendosi pericolosamente in bilico tra genio e follia, con un trama che è prevalentemente un canovaccio molto semplice o banale e costruendo invece il suo film soprattutto attraverso i personaggi.
" Mi chiamo Harley fot&$%a Queen e sono fantasmagoricamente emancipata. E' chiaro a tuttii, vero?"
Importantissimo in questo senso la scelta di interpreti per un cast numerosissimo oltre che estremamente variegato e che porta sullo schermo alcuni dei personaggi più bizzarri e ironici della DC insieme ad alcune vecchie conoscenze.
E tra Viola Davis di nuovo nel ruolo della cinica Amanda Weller e il cameo (non si potrebbe chiamarlo in altro modo) di Jai Courtney nel ruolo di Capitan Boomerang, tornano anche Joel Kinnaman ancora una volta come Rick Flagg, leader (!?) sul campo della Suicide Squad, e soprattutto Margot Robbie ormai totalmente a suo agio nel ruolo di Harley Queen, meno protagonista assoluta rispetto alle precedenti pellicole ma comunque artefice di divertenti scene action seppur piuttosto indipendenti dal resto della storia.
La mia impressione é che la sua presenza sia stata imposta o “suggerita” dalla Warner (o dalla stessa Robbie, produttrice e factotum su tutto quanto riguardi HQ) e che il regista, non riuscendo a integrarla con gli altri del gruppo nella trama principale, costruisca appositamente per lei un sotto trama personalizzata ma (troppo?) slegata dal contesto principale (tanto che se questa viene a mancare la storia non ne risentirebbe affatto), un espediente per renderla comunque protagonista e garantire almeno un importante screen time al personaggio, abbastanza da giustificarne la sua presenza.
"Hei! Ci aspettavamo che qualcuno ci venisse a prendere all'aereoporto ma.. niente! Comodi, eh!"
Nuova entrata e assoluto nuovo protagonista invece il Bloodsport dell’ottimo e convincente Idris Elba, personaggio, per me, originariamente scritto per il Deadshot di Will Smith (troppe le similitudini tra i due personaggi per essere soltanto un caso) e, dopo un iniziale tentativo di sostituirlo con Deadstroke non andato a buon fine, riadattato come Bloodsport dopo il suo abbandono, ufficialmente per altri impegni, più probabilmente, a parere mio, perché spaventato dall’eccessiva violenza e dalla greve ironia della pellicola.
Accanto a lui il Peacemaker di John Cena, protagonista anche di una serie HBO Max e spin-off della pellicola curata dallo stesso Gunn, cultore della pace ad ogni costo e parodia dell’interventismo americano nel mondo, l’attrice portoghese Daniela Melchior come Ratcatcher II (a interpretare il padre, in un cameo, il regista Taika Waitiki) in un ruolo che mi ha ricordato tantissimo Jolt nella run di Kurt Busiek dei Thunderbolts originali, Polkka-Dot Man interpretato invece da David Dastmalchian mentre King Shark, realizzato completamente in CGI, nella pellicola originale viene doppiato da Sylvester Stallone.
Tra gli altri, tra camei e partecipazioni speciali (tra amici del regista molti dei quali direttamente dalle pellicole dei Marvel Studios) anche Michael Rooker, Nathan Fillion, il fratello di James, Sean Gunn (interprete, ancora una volta, di un personaggio in CGI), e poi Pete Davidson, Mayling NG, l’ex Doctor Who Peter Capaldi, Storm Reid, Flula Borg (ma é davvero il suo nome?), Alice Braga, Joan Cosio e Diego Botto.
"Fate i bravi e tornate presto!"
VOTO: 7,5
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