Regia di James Gunn vedi scheda film
AL CINEMA
Harley Quinn: Che bella la pioggia: è come se gli angeli si facessero una sega mentre guardano quello che facciamo"
Tra corpi fatti a pezzi, squartamenti, uccisioni anche per errore o gratuite, battute volgarissime ma pertinenti e fulminanti, ecco che la missione suicida di una squadra (anzi due a dire il vero) di supereroi psicopatici, geneticamente modificati, se non proprio stravolti, e cerebralmente ingestibili se non per essere mandati al massacro, si sviluppa in modo esemplare in questo greve e corrivo The Suicide Squad - Missione Suicida, in cui l'abile regista e sceneggiatore James Gunn passa con disinvoltura dal mondo Marvel (dei due spassosi ma anche un po' sopravvalutati I guardiano della Galassia), al concorrente mondo DC ridando lustro alla banda di supereroi psocopatici che con il primo adattamento sciatto e completamente senza verve né efficace ironia a cura di David Ayer del 2016, aveva sostanzialmente giustiziato in modo apparente definitivo la comparsa al cinema di questo spumeggiante e fuori di testa gruppo di eroi.
La missione suicida vede catapultare due squadre di pazzi senza rimedio nei pressi dello stato-isola centromericano simil cubano di "Corto Malrtese" (eheh, che matti…) ove un colpo di stato ha fatto si che i militari prendessero il potere, e si mettessero a capo di un misterioso esperimento con al centro una forza extraterrestre a forma di gigantesca stella marina, in grado di soggiogare le menti umane, asservendole a scopi tutt'altro che eticamente condivisibili.
Una storia che è una follia già solo a tentare di raccontarla, ma che Gunn conduce con sarcasmo ed ironia dosati al punto giusto per giocare (sporco) sul politicamente scorretto, sfruttando una serie di personaggi davvero godibili, a partire dai ruoli di contorno, resi tali per essersi fatti troppo presto massacrare, per arrivare al manipolo di personaggi principali, con al centro la bellissima e completamente fuori di testa Harley Quinn, parte per fortuna nuovamente tornata a Margot Robbie, perfetta a rendere quel mix esplosivo di bellezza e follia ugualmente micidiali.
E poi un Bloodsport-Idris Elba che ha il terrore dei ratti, ma non per questo uccide e compie stragi senza battere ciglio; lo squilibrato reduce dalla guerra in Medio oriente Peacemaker, reso con inedita ironia da un maturato e sornione John Cena; Il serioso ed un po' ingenuo comandante della seconda e meno scassata compagnia, ovvero Rick Flag (Joel Kinnaman); l'uomo squalo perennemente affamato ma con sentimenti umani che lo portano al rimpianto delle proprie azioni incontrollate, King Shark, a cui in originale Sylvester Stallone offre la voce come doppiatore; Polka-Dot Man, esilarante psicopatico che utilizza come armi dei pois colorati che diventano oggetti mortali quando egli è convinto che il suo avversario sia in realtà l'odiata ed ingombrante madre; tra le girls, ecco Ratchaser II, che ha il potere di controllare armate di topi, e la capa missione Viola Davis che interpreta una spietata e senza scrupoli Amanda Waller.
Uno spasso, insomma, in un film solo un po' troppo lungo, a cui una sforbiciata in sede di montaggio avrebbe probabilmente conferito una sorta di perfezione artistica e commerciale.
Tra gli altri personaggi "usa e mastica", non si può fare a meno di ricordare, tra i molti coinvolti, una esteticamente repellente donnola antropomorfa dagli occhioni lucidi e smarriti, che pare sin dall'inizio evidentemente inadeguata e fuori posto per quella situazione, e che parrebbe destinata a fine ingloriosa ancora prima di entrare in azione.
Insomma un blockbuster di personaggi, più che di storia, che alla fine passa comodamente in secondo piano, affossata dalla ben più interessante dinamica sanguinolenta che caratterizza i personaggi impegnati nella loro improbabile missione-mattanza.
Grande fracasso action, battute colorate e di grana grossa, volgarità a gogò, ma pertinente con il contesto scientemente ricercato e saggiamente costruito per rendere adeguato omaggio ad un fumetto cult, ed anzi elemento salvatore di un progetto che altrimenti non avrebbe potuto far altro che replicare la fine modesta occorsa all'episodio capostipite citato sopra.
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